Tra i motivi tutt’altro che trascurabili – e purtroppo trascuratissimi per esempio nelle analisi
post voto – che rendono un’impresa far impresa in Italia, che alimentano la sfiducia nell’establishment, che condannano le forze politiche tradizionali all’afasia e innalzano populismi irresponsabili alle responsabilità di governo, c’è la marea di debiti che la pubblica amministrazione ha accumulato nei confronti dei fornitori privati. E il tradimento delle promesse, perché Renzi un paio di leggi sensate le aveva pur fatte, ma di fronte al moloch burocratico non c’è politica che tenga.

Stranamente non se ne è parlato in campagna elettorale,eppure le imprese continuano a morire a mucchi, più di un imprenditore disperato ha scelto di farla finita, altri hanno perso tutto, chi l’azienda, chi la casa. Per giungere a casi assurdi come quello dell’Inail che intima lo sfratto al Tribunale di Bari perché il Ministero non paga l’affitto da tre anni. O come il caso del signor Bramini da Monza, specializzato nel trattamento dei rifiuti con la sua Icom, che è stato costretto a fallire nel 2011. E la sua unica casa è stata messa all’asta dal Tribunale di Monza: il 16 aprile alle 14 sarà sgomberata dalla forza pubblica.

A non pagare Bramini erano le A.T.O. (ambito territoriale ottimale, acronimo che è tutto un programma) siciliane: 4 milioni di crediti andati in fumo perché se li è visti scontare del 90% dal curatore fallimentare che, equiparandole a società private semifallite, ha pensato fosse meglio prendere quello che c’era in cassa che niente.

“L’intrico delle società partecipate, dove l’interesse politico scorrazza dietro la foglia di fico del diritto privato” (Massimo Cacciari) è un tumore che estende le sue metastasi ad ogni ambito della vita associata. Eppure, da Monti in poi, il problema – il record negativo in Europa per il maggiore debito commerciale della pubblica amministrazione verso le imprese fornitrici di beni e servizi, pari a 3 punti di Pil – sembrava esser stato messo in cima alle preoccupazioni, non foss’altro per galvanizzare una crescita così anemica da compromettere ogni tentativo di riduzione del debito pubblico.

Ma, appunto, come nel caso del signor Bramini, la legge che, giustamente, consente di certificare i crediti vantati dalle aziende per poterli cedere alle banche, non funziona perché poi lo Stato non paga neanche le banche che si vedono costrette quindi a interrompere il circuito virtuoso. Per questo Andrea Innocenti, ex imprenditore e amministratore leghista a Vercelli, a proposito del caso Bramini parla di “omicidio preterintenzionale” dello Stato italiano: “Lo Stato sta volontariamente mancando di inserire le A.T.O. siciliane (e chissà quante altre) tra le Pubbliche Amministrazioni. Per ‘nascondere’ all’Europa la vera massa debitoria dell’Italia”. Toni forse troppo forti, ma di sicuro è impossibile dargli torto.