È stato reinaugurato nei giorni scorsi il teatro Florencio Sánchez di Paysandú, un’icona della cultura uruguaiana che vanta una lunghissima tradizione iniziata nell’ottocento. Ne parliamo con Flavio Fuccaro, figlio di un emigrato friulano e oggi responsabile del Centro Culturale Italiano, sull’evoluzione di quello che è considerato un vero e proprio simbolo della città.

“Questa è una storia che ha molto a che vedere con l’italianità” dice subito Fuccaro mentre legge una copia del documento di fondazione del teatro che porta la data del 23 settembre del 1860. Quel giorno la commissione direttiva mise la prima pietra dell’opera che sarà poi completata alcuni anni dopo. Erano in totale 35 azionisti che donarono 240 pesos a testa per la costruzione del teatro allora chiamato “Progreso”. Molte di queste persone erano italiane. Come il segretario Bartolo Sacarello, o anche Lazaro Filippone, Pablo Consoni e tanti altri. Un capitolo a parte merita l’architetto Francisco Poncini, svizzero ma formato professionalmente in Italia.

“Questo è uno dei dipartimenti più italiani del paese. E in un territorio come questo dove c’è stata una fortissima presenza italiana la storia di questo teatro si può collegare anche a quella degli immigrati. Il loro apporto è stato fondamentale”.

Inaugurato ufficialmente nel 1876, il teatro subì nel corso degli anni diverse ristrutturazioni come quella del 1917 (ad opera dell’architetto Daniel Rocco) che ne cambiò i tratti fondamentali e poi quella degli anni settanta. Nel 1921 ricevette il nome - ancora attualmente in uso - di Florencio Sánchez, in onore del grande drammaturgo considerato il padre del teatro moderno sudamericano.

Anche la sua storia personale è in qualche modo legata all’Italia: la visitò su incarico del Governo uruguaiano per informare le autorità sull’opportunità di partecipare a un’esposizione artistica a Roma. Dopo diverse disavventure lo colse la tubercolosi e si spense il 7 novembre del 1910 all’interno dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano.

Tornando al teatro che porta il nome del celebre drammaturgo, un'altra data fondamentale fu quella del 1975 quando ricevette la nomina di monumento storico nazionale. Tantissimi sono stati gli artisti passati da questo scenario nel corso degli anni a cominciare dal “Rey del Tango” Carlos Gardel che qui avrebbe detto di essere di nazionalità uruguaiana come riporta il quotidiano locale El Telégrafo presente quel giorno. Senza dimenticare chiaramente gli artisti italiani: dalla compagnia di opera teatrale Lea Candini e Salvatore Sidivo al cantante campano Gerardo Grasso e all’attore argentino figlio di genovesi Luis Sandrini.

Qualcosa ci sarà anche in questi giorni: il prossimo 20 aprile infatti l’Istituto Italiano di Cultura realizzerà qui l’apertura del ciclo di concerti “Radici italiane nella musica dell’Uruguay”.

“Scorrendo le pagine di questa storia è interessante vedere quanti italiani abbiano partecipato alla vita del teatro in quasi tutte le sue fasi, in quasi tutti i suoi cambiamenti. Parlo soprattutto dell’aspetto organizzativo ma anche in quello artistico”. La storia recente dell’icona di Paysandú ci porta al 2 aprile 2011. Qui il tono di Fuccaro cambia poiché ricorda con tristezza un’esperienza vissuta in prima persona. “All’epoca ero direttore generale delle opere pubbliche del dipartimento. Ebbene, la situazione del teatro era davvero negativa, continuavano a cadere pezzi del soffitto. A causa di tutto ciò suggerii alle autorità la chiusura della sala visto il pericolo per la sicurezza. Fu una decisione difficile ma allo stesso tempo proposi un grande lavoro di ristrutturazione per riscattare l’opera. In quest’ottica si creò la fondazione amici del teatro che continua ad essere molto attiva ancora oggi. Siamo una fondazione composta da diverse persone che vogliono salvaguardare questo patrimonio. Siamo un gruppo di persone eterogenee dove ognuno apporta qualcosa per l’obiettivo comune”.

Attualmente Fuccaro non lavora più all’interno della Intendencia di Paysandú. È rimasto invece nella fondazione degli amici del teatro perché “se si ha a cuore la cultura di questa città bisogna collaborare e dare il proprio contributo in prima persona”. Insieme a lui ci sono diversi italouruguaiani. Oggi, con la nuova era del teatro modernizzato, Fuccaro afferma con orgoglio che si tratta “del miglior teatro dell’interno dell’Uruguay”.

C’è però una cosa che ci tiene a sottolineare: “In questi giorni vediamo i politici locali che si appropriano della ristrutturazione. In realtà questi sono processi lunghi che hanno bisogno di tanti anni per portare dei frutti e bisogna sempre ricordarsi di ciò che è stato fatto anteriormente. L’importante è che oggi abbiamo un teatro che è un vero gioiello ma se ciò è stato reso possibile è soltanto grazie a un lavoro iniziato tanti anni fa”.

Il responsabile del Centro Culturale Italiano non ha dubbi su quale possa essere il cammino da seguire per il futuro: “Il nostro modello da seguire è l’Italia che vanta un’esperienza incredibile nella gestione dei patrimoni storici. Ecco, noi dovremmo guardare attentamente quel modello se vogliamo veramente conservare i nostri patrimoni”.

(di Matteo Forciniti)