Si continua a parlare ancora di elezioni in Uruguay un mese dopo il clamoroso flop che ha portato solo il 24% di partecipazione al voto.

Un numero eloquente che stona con la tradizione partecipativa di questo paese nelle tornate elettorali, anche quelle della lontana Italia.

Di chi è stata la colpa di questo ennesimo fallimento?  Dell’organizzazione o della consueta disaffezione che sta ormai dilagando all’interno del mondo italouruguaiano? Attesa e prevedibile, la difesa dell’ambasciatore Gianni Piccato è andata in scena martedì sera durante la riunione del Comites, il Comitato degli Italiani all’Estero che ha chiesto ufficialmente spiegazioni al responsabile dell’organizzazione del processo elettorale.

Secondo i rappresentanti della collettività la colpa di questa scarsa affluenza è da attribuirsi all’operato dell’Ambasciata. Il primo a prendere la parola è stato Renato Palermo nella duplice veste di consigliere e candidato del Partito Democratico. Lo stesso Palermo porterà in questi giorni il tema anche all’interno della riunione continentale del Cgie (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero).

“I numeri sono abbastanza evidenti, tutti sappiamo che è stato un disastro. Abbiamo perso un occasione per il coinvolgimento della collettività. Ciò che è mancato, particolarmente, è stato il clima elettorale”.

Più dura l’accusa di Filomena Narducci, anche lei candidata ma nelle file di Liberi e Uguali, che ha posto una serie di domande all’ambasciatore: “Quello che è successo è molto preoccupante. È stata la prima volta che abbiamo avuto un atto elettorale clandestino. E non si può dare la colpa al periodo estivo e al carnevale poiché in passato fu addirittura peggiore eppure la partecipazione fu il doppio”.

Diverse le questioni segnalate che hanno a che vedere con tutta la catena dell’organizzazione a partire dalla tipografia Imprimex, fino alla distribuzione del Correo Uruguayo e infine ad Abitab.

A ciò si aggiunge anche la scarsa campagna di informazione verso la cittadinanza.

Iniziamo dal primo punto: “In Italia le schede elettorali vengono stampate dallo Stato, all’estero invece questo compito è affidato ad aziende private che non offrono alcuna garanzia. Possono fare quello che vogliono e non rispondono a nessuno”.

Altro punto critico è il lavoro di consegna delle Poste uruguaiane dato che “moltissimi elettori hanno denunciato di non aver ricevuto i plichi”.  Infine la questione relativa ad Abitab, la ditta incaricata di raccogliere dagli elettori i plichi per poi consegnarli all’Ambasciata, e alla sua “circolare equivoca” pubblicata anche su Gente d’Italia recentemente.

Questa circolare interna di Abitab, dava indicazioni ai funzionari di ricevere le buste fino al 31 marzo, ben un mese dopo la data di scadenza del primo marzo.  “Questo ha generato un grande equivoco agli elettori anche perché il personale di Abitab diceva alla gente che la data di scadenza era il 31 marzo”.

Il consigliere Rolando Rossi ha denunciato il caso specifico della zona di Las Piedras dove  “tantissime famiglie non hanno ricevuto le buste elettorali”. “Questo risultato negativo” - ha commentato - “darà forza ai critici del voto estero per abolirlo”.

Durante il suo intervento l’ambasciatore Gianni Piccato è apparso diverse volte nervoso e incomodo.

Incalzato dalla Narducci e dagli altri consiglieri, su alcuni punti ha risposto, su altri ha taciuto. Per lui “tutto ha funzionato alla perfezione”.  Anzi, con gli stessi attori del passato, il processo è stato addirittura “migliorato”.

La bassa partecipazione dell’elettorato “si inserisce all’interno di un processo generale che conosciamo bene e che coinvolge diversi attori”.  La parte più incredibile di questo intervento è stato quello relativo al caso di Abitab e alla sua indicazione di accettare le schede fino al 31 marzo come confermato.

“Con loro è stato fatto un contratto preciso. Dovevano continuare a ricevere i plichi fino al 31 marzo anche per una questione economica. La confusione che si è generata è imputabile solo ad Abitab perché la pubblicazione di quel documento interno è stato un errore”.

Ricapitolando: l’Ambasciata era a conoscenza della data del 31 marzo, non è mai intervenuta prima per correggere l’informazione equivoca e oggi se ne lava le mani dando la colpa solo all’azienda uruguaiana.

È stato un voto regolare quello degli italiani in Uruguay?  Sono in tanti oggi a farsi questa domanda. Un capitolo a parte merita poi la questione dei brogli come denunciati in altre aree del Sud America.

E in Uruguay cosa è successo?  Allarmante l’interrogativo posto da Rossi riferendosi a Maria del Rosario Lamorte, la candidata del Maie risultata la più votata: “Come ha fatto una persona che non conosce nessuno all’interno della collettività a prendere tutti questi voti?”.

Sulla vicenda è intervenuto anche Renato Palermo: “Io non posso affermare che in Uruguay ci siano stati brogli perché non ho le prove. Tuttavia, ogni anno vediamo a livello mondiale una serie di evidenze preoccupanti. Bisognerà trovare una forma per assicurare un voto all’estero sicuro e che possa effettivamente coinvolgere i cittadini come si sperava”.

(di Matteo Forciniti)