Sono passati 73 anni da quel 25 aprile del 1945 in cui finalmente l’Italia riuscì a trovare la sua Liberazione. Dopo tutto questo tempo, il rischio che corriamo, come Paese, come cittadini, come individui, è lo smarrimento della memoria e la fatale, drammatica, espulsione dal nostro vocabolario politico di parole importanti e decisive, anche per la
definizione del tempo presente.

Molti fattori concorrono a rendere concreto questo rischio: l’inevitabile perdita dei testimoni diretti di quei giorni; il fatale declassamento del 25 aprile a “gita fuori porta”, soprattutto per certa opinione pubblica e purtroppo anche per le giovani generazioni. In molti è ormai radicata l’errata convinzione che se non esiste più il pericolo fascista, non ha più senso essere antifascisti.

Eppure, antifascista è parola che ha un valore storico e politico che prescinde dai fatti storici dai quali essa è nata, dalla guerra civile scoppiata in Italia dopo l’8 settembre del 1943. Ma se la guerra civile dell’Italia tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, e la parola antifascismo non s’insegna piú nelle scuole superiori, o nelle università, o in tv, o tra gli italiani all’estero, come potranno, le nuove generazioni, segnalare un pericolo fascista o autoritario?

Il termine Antifascismo resta uno degli ancoraggi semantici e concreti, dagli effetti anche giuridici, della nostra democrazia, e della nostra Costituzione. Dimenticarsene è un delitto, contro la memoria, contro il presente, contro le nuove generazioni. Ieri abbiamo festeggiato il 25 aprile. Il passato esiste solo per le cose materiali che contano poco, che scadono, che si consumano. I valori, le persone, i sentimenti importanti, quelli che ci hanno fatto essere così come siamo, (sia come individui sia come comunità), non sono collocabili nel passato perché, essendo fatti costitutivi di tutti noi, vivono con noi nel presente.

Ed è con questo puntuale approccio di attualità credo sia giusto celebrare ogni giorno il 25 Aprile, con i suoi valori di giustizia, uguaglianza e libertà. Ma soprattutto con il rispetto per la propria identità. E’ una questione che riguarda il nostro presente e il nostro futuro. La data simbolica che l’Italia ha scelto per riflettere sull’esemplare esperienza della Resistenza italiana, é fatta di valori e dal sacrificio di tante persone che hanno deciso di scegliere ed essere protagonisti di quel presente per dare a se stessi e alle generazioni future una prospettiva migliore, per quello che oggi chiameremo il bene comune.

Anche da questo dobbiamo prendere lezione dalla Resistenza e dai suoi protagonisti. Resistere, resistere urlavano i nostri nonni in quelle vecchie e fetide trincee che hanno sbarrato l’avanzare del nemico. Resistere urlo oggi soprattutto ai miei colleghi del Mattino di Napoli. Il giornale cambia sede, - mi dicono - da via Chiatamone al centro direzionale di Napoli. É l’anticamera della chiusura….

Negli ultimi anni il Mattino ha attuato una politica di tagli, ridimensionato l’organico e messo in prepensionamenti e cassa integrazione a rotazione molti giornalisti. Nel 2009 la redazione dello storico giornale era formata da cento giornalisti, oggi ne conta una sessantina e le vendite sono scese sotto le 30.000 copie. Nello stesso anno il Mattino ha licenziato 24 giornalisti, nel 2012 ci sono stati nuovi tagli e la redazione è scesa a settantanove unità. Un grande ridimensionamento per il quotidiano che nel 1990, quando andai via, contava 154 redattori e 298 poligrafici e vendeva piú di 200mila copie…

Era il 1966 quando cominciai a “frequentare" le stanze del glorioso quotidiano del Mezzogiorno. Allora il giornale si trovava all’Angiporto Galleria, poi il trasferimento in via Chiatamone, (nelle foto) un palazzo storico dove venne impiantata anche la tipografia…. Ricordo il portiere, Mario Acerra, indossava il tight, in via Chiatamone, aveva la giacca nera a falde lunghe e strette, i calzoni a righe grigie e nere con il panciotto grigio e la cravatta a plastron… Sembrava di entrare in un club inglese non in un giornale….

Ragazzi lottate, lottate….resistete come facemmo noi quando il Banco di Napoli - antico proprietario - dovette sbarazzarsi della testata…. Mesi e mesi senza stipendio, un comitato di lotta con i “contributi”, e finalmente il Corriere della Sera che ci compró…… Allora gridavamo "Resistere,resistere..." Oggi dico :" Resistete", e continuo a ripeterlo, ai giovani colleghi che vi lavorano e a quelli delle altre testate colpiti da questa crisi che sta dissanguando anche la libera editoria, quella che non ha mai voluto padroni, padroni politici. Perché i veri padroni siete Voi, i lettori. Il libero mercato.

Sono tempi difficili per la stampa e difficilissimi perla stampa italiana all’estero (eravamo in sei negli anni '90, siamo rimasti in tre...). Perché è soprattutto nei momenti di difficoltà che
si deve essere protagonisti. Soprattutto nei momenti di difficoltà dobbiamo essere pronti a fare quello che è giusto e non nasconderci dietro a ciò che è solo miseramente conveniente.
Non possiamo non vedere che, anche a causa della crisi economica e sociale che sta pervadendo il mondo intero, resta il rischio concreto che la mancanza di una prospettiva per milioni di cittadini possa essere un terreno fertile per il riaffermarsi di una cultura antidemocratica, xenofoba frutto di un miope istinto di autoconservazione.

Dobbiamo allora stare attenti e fare di più perché questa cultura, autoritaria, non dilaghi.
Certo alle istituzioni spetta un ruolo principale da svolgere sia nella promozione che nell’affermazione di una cultura della democrazia e della partecipazione. Ma è ad ognuno di noi che spetta la scelta di impegnarci e di non essere indifferenti, sempre però mantenendo vivo ed alto il sentimento di appartenenza al nostro Paese, soprattutto noi Italiani che viviamo in Paesi diversi dal nostro, affermandone con grande difficoltà e soprattutto per l’ignavia e la cocciutaggine di alcuni rappresentanti delle istituzioni sia per il tempo sia per le idee, la cultura, l’italianità, la religione e la storia. Che ci rende fieri di essere italiani.

Perché un Paese veramente democratico non permetterà mai lo svilimento dei propri valori e dei propri principi, ma sulla base di questi, permetterà invece l’integrazione di altri. Ricordate: senza il rispetto per la propria identità, non potrà mai esserci rispetto per l’altro.

Mimmo Porpiglia