La Rosa rossa (Rosa gallica) della famiglia delle Rosacee, è una delle rose indigene più coltivate per la bellezza dei suoi fiori di un bel rosso scuro, che si raccolgono, per scopi medici, prima che sboccino. Secondo la tradizione sarebbe stata importata dalla Siria, nel XIII secolo, da un tale Thibault IV, conte di Champagne, detto “Le Chansonnier”. Era questa la rosa che il conte di Lancaster, inviato a Provins nel 1277 per reprimere una rivolta contro il Re di Francia, portò in Inghilterra, e che diventò l’emblema del suo casato. Divenne poi famosa con la guerra delle Due Rose, tristemente celebre, che vide combattere il casato dei Lancaster contro quello degli York, che aveva come emblema la rosa bianca.

Molti autori hanno attribuito alla rosa rossa una grande efficacia contro la tubercolosi. Inventato dai medici arabi, il djelendjoubin, la conserva di rose, veniva considerato dal medico e filosofo persiano Avicenna lo specifico della tisi, e seguitò ad aver successo come rimedio presso i medici del Medioevo e del Rinascimento. Thibault Lespleigney, speziale e poeta, ne parla nel suo secondo formulario, uscito nel 1538, in cui sono enumerate 247 formule fra le più diverse. Ancora nel XIX sec., si raccomandava la conserva di rose e Leclerc la consigliava, avvalorando la sua efficacia con citazioni di osservazioni mediche.
Questo rimedio ha comunque un valore tonico, che lo rende adatto alle persone deboli e stanche.

Astringente e tonica, la rosa rossa è anche raccomandata nei flussi mucosi cronici, nella leucorrea, nelle emorragie e nella diarrea. Questa rosa, ai tempi di Napoleone, godeva di una tale reputazione che i medici militari delle armate imperiali andavano personalmente a Provins, nella regione dell’Ile-de-France per rifornirsi di petali essiccati e preparati, che venivano poi usati nei casi di dispepsia, nel mal di gola, nelle enteriti, per la debolezza, le malattie della pelle e le affezioni oculari.

L’essenza di rose contiene una sostanza fortemente anestetica, che spiega l’uso dell’acqua distillata di rose come collirio, per calmare il dolore dell’infiammazione. Possiede inoltre un considerevole valore antisettico: una comunicazione fatta all’Accademia Francese delle Scienze rivela che, usata all’1 o al 2 per mille, ha un’azione sterilizzante tanto attiva quanto una soluzione al 5 per mille di fenolo. Recenti ricerche, condotte da Tanret e Jacques, hanno dimostrato che una macerazione acquosa di rosa rossa è dotata di potenti proprietà antibiotiche contro lo stafilococco, il proteus e il colibacillo.

Per uso esterno questa pianta è impiegata, per le proprietà astringenti, in clisteri contro la diarrea, in irrigazioni contro le perdite bianche, ed in gargarismi contro le angine. Viene anche molto utilizzata per la cura della pelle, e rientra a questo titolo in numerosi rimedi:
pomata rosata, acqua distillata di rose, aceto di rose, ancora usato nella Francia del nord per curare le piaghe in suppurazione. Godette anche di una certa fama contro le emorroidi.
Un antico testo degli Assiro-Babilonesi, rinvenuto nelle tavolette di Gilgamesh, dà la ricetta di una curiosa “supposta” composta di petali di rosa macinati e trementina, da introdurre nell’”ano unto con olio di cipresso”.

Il celebre medico spagnolo del Medioevo Arnaldo di Villanova raccomanda, nella sua opera Regimen sanitatis, questa ricetta: “Fate bollire nell’acqua un sacchetto composto di tre parti di foglie di rosa e di quattro foglie di mirtillo; strizzatelo, e che il malato vi resti a lungo seduto sopra”. Il vero djelendjoubin arabo si prepara come segue: “Essiccare all’ombra dei petali di rosa rossa, non ancora completamente sbocciati, fino al riassorbimento dell’umidità; pestare poi in un mortaio di pietra aggiungendovi il triplo del loro peso in zucchero bianco; porre il tutto in un vaso di vetro chiuso con pergamena, ed esporre tre mesi al sole, rimuovendo spesso. Conservare poi in luogo fresco”.

Si può preparare più semplicemente la conserva secondo la ricetta di Leclerc: “Pestare i petali con zucchero in quantità tre volte maggiore e con un po’ di sciroppo di zucchero, in modo da ottenere una pasta della consistenza del miele. Prenderne 50/60 g al giorno, lontano dai pasti”. Sarà, come già detto, un rimedio particolarmente adatto contro stanchezza e debolezza.