L'imprenditore francese René Le Bail ha raggiunto il suo obiettivo. Il suo Vindigo, il “vino blu” prodotto in Spagna e lanciato a luglio anche nel Sud della Francia, si è guadagnato l'attenzione dei media internazionali.

Per raggiungere il colore blu, che poi è un azzurro pallido, lo Chardonnay prodotto da Le Bail in collaborazione con un enologo spagnolo deve passare attraverso un raffinato procedimento di “colorazione” attraverso il contatto con uve a bacca rossa. Le bucce rilascerebbero dunque gli antociani che normalmente colorano il vino rosso, ma in determinate condizioni di acidità possono virare dal violaceo all'azzurro pallido.

Tutto “naturale” dunque secondo Le Bail, che descrive il Vindigo come un vino “dal colore del mare”, da sorseggiare a bordo piscina accompagnando ostriche e frutti di mare. Superato l'effetto glamour, che ha spinto le vendite prima in Spagna e poi, sembra, anche in Francia, sulle principali testate internazionali che si occupano di vino sono emerse pesanti critiche e forti dubbi sulla natura enologica di Vindigo.

Le Bail avrebbe voluto produrre il vino blu in Francia, le resistenze sono risultate difficilmente superabili. Forse perché nella patria dei Rosé adorati dalla Scandinavia al Nord America gli enologi hanno espresso dubbi sull'aggiunta di bucce d'uva a bacca rossa nella vinificazione di un bianco, pratica proibita dai disciplinari pure nella vinificazione dei rosati.

Se pure la colorazione azzurra fosse ottenuta con interventi naturali nel processo di vinificazione, certezza su cui gli esperti hanno manifestato perplessità, l'intero processo lascia aperti interrogativi di peso.

“Mi sembra l'ennesimo prodotto che viene presentato come vino, ma che rientra in quella categoria che la Comunità Europea definì vent'anni fa come bevande spiritose o bevande a base di vino”, osserva Giampietro Comolli, enologo editorialista e presidente del centro studi dell'Osservatorio Economico dei Vini Effervescenti. Se dunque da un punto di vista giuridico si può trovare una collocazione, dal punto di vista tecnico Comolli obietta sul processo stesso: “partendo da una base Chardonnay, si ottiene la colorazione blu con una particolare selezione di antociani e flavonoidi nelle bucce di uve a bacca rossa. E già qui si potrebbe configurare una forma di illegalità. Se poi consideriamo che per estrarre gli antociani blu eliminando la componente rossa è necessario utilizzare tecnologie costosissime, che lavorano sui processi di osmosi con filtri in gomma e seta e che risultano plausibili solo in un ambiente con Ph superiore a 7, ovvero più del doppio del livello di acidità normalmente raggiunto dal vino. Si deve dunque ipotizzare un intervento che abbassi l'acidità e successivamente stabilizzi il prodotto, per far permanere la colorazione”. Allora la domanda, per il momento solo teorica, sorge spontanea: “Sono tutti processi o elementi aggiunti consentiti nella produzione di vino?”, si chiede Comolli.

Che rimarca l'ottima operazione di marketing, potenzialmente in grado di contrastare il “furore” dello Spritz che sta conquistando il mercato non solo con base prosecco, ma anche come destinazione dell'enorme surplus si vini spagnoli. Il risultato rimane brillante. Incuriositi o critici, gli specialisti e i media parlano di Vindigo come un topic dell'estate (nonostante 35mila bottiglie siano il consumo annuale di un bar ben avviato in una località turistica).