Recentemente una sentenza emessa negli Stati Uniti ha riacceso i riflettori sul pericolo dovuto all'uso del glifosato, l'erbicida più diffuso al mondo.
Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni, ha fatto causa alla multinazionale appena comprata da Bayer per aver contratto un linfoma non Hodgkin, un tumore del sistema linfatico in fase terminale.
In base al verdetto della giuria di San Francisco, questa malattia è stata causata dall’uso dell’erbicida Roundup, un prodotto a base di glifosato e per questo motivo per la prima volta la Monsanto è stata riconosciuta colpevole e dovrà risarcire l’ex giardiniere per 289 milioni di dollari.
Si tratta di una sentenza storica che potrebbe avere enormi conseguenze in tutto il mondo. Soltanto negli Stati Uniti si parla già di 5.000 processi che porteranno sul banco degli imputati lo stesso erbicida.
Lontano dai riflettori internazionali, in Uruguay la presenza del glifosato è molto preoccupante a giudicare dalle numerose denunce che si susseguono una dopo l’altra. Da tanti anni, attivisti e associazioni di categoria hanno lanciato l’allarme che sembra preoccupare poco il paese che sfoggia di fronte ai turisti il suo slogan Uruguay Natural. Ma le storie degli agricoltori uruguaiani che si sono ammalati per via dei prodotti tossici utilizzati non arriveranno al grande pubblico. Tra il 2011 e il 2017, però, secondo un’inchiesta de La Diaria, le denunce per cattivo uso di erbicidi fatte al Ministero dell’allevamento, agricoltura e pesca, sono aumentate di quattro volte.
Nel 2011 furono 35, lo scorso anno 166. Queste le motivazioni principali nei reclami alle autorità ministeriali in questi sette anni: 27% per l’uso del glifosato fuori i siti stabiliti, 20% per non rispettare le distanze minime dai centri abitativi, 15% per non rispettare le distanze dalle fonti d’acqua, 13% per la morte degli alveari e famiglie di api.
Proprio poche settimane fa, abbiamo raccontato l’ultimo congresso latinoamericano di apicoltura dove ha partecipato anche il ricercatore italiano Antonio Nanetti e si chiedeva una maggiore regolamentazione in materia.
Il miele uruguaiano è in pericolo come accusa da tanti anni la Sociedad Apícola Uruguaya (SAU). Lo dimostrano le esportazioni verso l’Unione Europea e in particolare la Germania crollate drasticamente: il 71% del miele analizzato conteneva tracce di glifosato superiori a quelle consentite dalla normativa comunitaria.
Gli agricoltori italiani della zona di Canelones dicono praticamente tutti la stessa cosa: il problema sono le piantagioni di soia e gli ogm, cresciute notevolmente negli ultimi anni per soddisfare la domanda internazionale. Il settore della frutta e della verdura è sicuro, tranquillizzano tutti.


“Noi siamo costretti a usare il glifosato per poter vendere i nostri prodotti nel mercato. Non abbiamo alternative. Se fa male allora perché lo Stato non lo proibisce? Noi siamo solo piccole pedine in un grosso problema mondiale che muove interessi enormi” raccontano in una famiglia italiana che preferisce rimanere anonima.
Parla chiaramente invece Domenico Calandrello, coltivatore di frutta nato nella provincia di Benevento: "Il problema sono i terreni di soia, riso e grano per l’uso indiscriminato che ne fanno. Nell'interno dell'Uruguay c'è una situazione problematica". "Noi - racconta- cerchiamo di usare il glifosato il meno possibile, una volta all'anno per pulire il terreno e con tutte le misure di precauzione. Lo utilizziamo solo sul 10% di un ettaro di terra. Siamo coscienti del pericolo e usiamo la massima cautela".
Nell’interno profondo del paese però le cose sono abbastanza diverse: "Ho visto cose incredibili, paesaggi completamente cambiati senza più animali né pesci per via dell’uso indiscriminato del glifosato".


Ripete spesso la parola "equilibrio" Muzio Giudice, della provincia di Salerno, coltivatore di mele e pesche. "Non bisogna lasciarsi influenzare dagli annunci. Il tema è complesso e per questo noi ci facciamo consigliare dai tecnici. Io ascolto ed eseguo quello che mi dicono".
Sulla stessa linea di Calandrello, anche Giudice dice di "usare il prodotto una volta all'anno e con estrema cautela per bruciare le erbacce" e - assicura- "non restano residui". "Il problema si ha quando ne viene fatto un uso indiscriminato, senza rispettare le limitazioni e vicino ai corsi d'acqua che vengono contaminati. L’ideale sarebbe avere un sistema di tracciabilità della frutta per informare i consumatori su tutta la filiera produttiva come viene fatto con la carne".
"L'uomo si distrugge da solo" dice con un marcato accento ligure e un velo di tristezza Candido Garrone, il più critico al riguardo. "In Uruguay c'è un inquinamento altissimo, specialmente nell'acqua, per i prodotti che vengono utilizzati. Non è solo il glifosato, è una tendenza generale che deve far preoccupare. Qui si arriva sempre in ritardo ma le cose devono cambiare".
Così come gli altri agricoltori, anche Garrone chiama in causa le coltivazioni di soia nell'interno che "sono le peggiori per l'abuso di glifosato" mentre sulla frutta e la verdura non ci sono preoccupazioni. "Ho visto posti dove c'erano pesci, lepri ed altri animali. Oggi non c'è più niente. C'è qualcosa che non va. Chi conosce la terra lo ha già capito".

MATTEO FORCINITI

Domenico Calandrello e Candido Garrone