Otto anni fa erano il sei per cento, quattro anni fa il 13. Oggi i sondaggi li danno attorno al venti, e domenica nelle urne potrebbero raddoppiare ancora una volta: una progressione geometrica che rischia di portarli al governo, magari solo in coalizione, ma comunque al governo di una delle più importanti democrazie europee. L’unica o quasi che ancora adesso è retta da un partito socialista. La Svezia svolta a destra, molto a destra, e nessuno dà più per possibile la riconferma della coalizione di socialdemocratici e verdi. Al contrario. Chi dovrebbe approfittare della montante ondata xenofoba e nazionalista è la componente che più ha saputo soffiare sul fuoco delle paure: il Partito dei Democratici Svedesi.

Più che l’Europa, gli immigrati - La loro campagna elettorale ricalca temi e immagini ben conosciute anche nell’Europa del sud: falansteri di periferia dove gli abitanti vivono nella paura imposta dagli immigrati, lampeggianti della polizia, auto che esplodono. Un po’ meno, di recente, quello che era invece un cavallo di battaglia appena qualche mese fa: l’idea della Swexit, l’uscita da questa Ue di banche e burocrati che dettano legge dalle loro scrivanie di Bruxelles. Ma l’economia non va male, in Svezia: il tasso di disoccupazione è tollerabile, la crescita tutto sommato soddisfacente. In fondo l’Europa non è in cima alle preoccupazioni dell’elettore medio. Lo è molto di più l’immigrazione, in un paese che dagli
Anni ottanta del secolo scorso è abituato ad ospitare più di 150.000 stranieri cui lo Stato paga anche i corsi di lingua, per favorirne l’integrazione. È su questo che ha deciso di puntare il leader del partito, Jimmie Akesson.

Un giovane dalle idee chiare - Akesson oggi ha 39 anni. Quando prese in mano il partito ne aveva 30. Era un partito di estrema destra, nato come movimento così come un movimento era all’epoca il Partito del Progresso norvegese ed il Partito del Popolo danese. I Democratici Svedesi erano dei veri paria, stretti nell’angolo di percentuali risibili, anche grazie ai numerosi elementi neonazisti che ne facevano parte. Arrivato al vertice, il giovane fece quello che è stato fatto anche in altri movimenti della destra europea: mettere da parte e accompagnare alla porta i più impresentabili, favorendo una trasmutazione non genetica, ma estetica. Questo ha permesso lo sfondamento al centro, dove l’elettorato medio in fondo non aspettava altro, preparato come era da decenni di governi conservatori. Lo stesso processo registrato nel Regno Unito o in Germania.

Il Baltico lago populista e la nuova Cortina di Ferro - L’importanza delle elezioni di domenica prossima va oltre i confini nazionali della Svezia. L’Eventuale affermazione delle destre sposterebbe ulteriormente l’asse della politica europea, in questo momento già sbilanciata in favore dell’asse di Visegrad cui si è aggiunta recentemente l’Italia. I partiti
sovranisti avrebbero un peso determinante in tutta quella fascia che va da Stettino a Trieste, lungo quella che una volta era la Cortina di Ferro. Soprattutto, il Baltico diverrebbe un lago sovranista. I partiti populisti si troverebbero al potere in Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia. Solo le tre repubbliche baltiche resisterebbero:
l’Estonia con una coalizione centrista, la Lettonia con una di centrodestra, la Lituania con
una di centrosinistra.

Ma entreranno davvero al governo? - Arrivare anche al 25 per cento non basta per governare, almeno da soli. Può darsi quindi che Akesson ed i suoi democratici xenofobi, da lunedì, si trovino davanti al consueto dilemma che si pone in questi casi: purez- za ideologica o compromesso? Di solito prevale il secondo: così è stato in questi anni per tutti i partiti fratelli dell’area scandinava e baltica. Soprattutto, però, sarà da vedere se qualcuno accetterà l’idea di “sporcarsi le mani” con la destra estrema. Finora la campagna elettorale svedese è stata all’insegna del “mai con loro”, mantra ripetuto da tutti gli altri otto partiti
che partecipano alla competizione. Ma si sa che dopo lo spoglio delle schede molte sensibilità possono mutare. In una recente intervista il leader dei Moderati, Ulf Kristersson, si è infatti lasciato sfuggire che il problema della Svezia è che si trova adesso a pagare il prezzo di una politica di immigrazione fallimentare. Ed ha aggiunto
che “sarebbe pericoloso tornare alla legislazione in vigore prima del 2014”, prima cioè che venisse approvato un pacchetto di norme restrittive. Potrebbe essere un tentativo di togliere terra sotto i piedi a Akesson, ma il rischio è alto. In Olanda ha funzionato, permettendo ai liberali moderati di Mark Rutte di arrestare l’avanzata del Partito del Popolo di Geert Wilders. Ma più recentemente in Baviera non è andata così: anche lì si voterà entro la fine di settembre, e la Csu del ministro di ferro (con gli immigrati) Horst Seehofer sta perdendo punti in favore degli xenofobi di Alternative fuer Deutschland.