Calano del 3% le bottiglie di vino Made in Italy esportate in Canada nel primo semestre del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione del primo anniversario dell’entrata in vigore in via provvisoria dell’accordo Ceta il 21 settembre 2017, sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero.

Con il Ceta si è verificata – sottolinea la Coldiretti – una brusca inversione di tendenza, sia in quantità che in valore, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando le bottiglie esportate erano aumentate di ben il 14%

Il vino – sottolinea la Coldiretti – è il prodotto agroalimentare italiano più venduto nel Paese nordamericano dove rappresenta quasi il 40% del valore totale dell’export.

L’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) – denuncia la Coldiretti – non protegge dalle imitazioni dall’Amarone all’Ortrugo dei Colli Piacentini insieme a molti altri vini e non prevede nessun limite per i wine kit che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani, dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio che il Canada produce ed esporta in grandi quantità in tutto il mondo.

L’intesa raggiunta con il Canada, sebbene abbia mantenuto l’accordo siglato nel 2003, non ha previsto – precisa la Coldiretti – l’aggiornamento dell’elenco con le denominazioni nate successivamente. E pertanto non trovano al momento tutela importanti vini quali l’Amarone, il Recioto e il Ripasso della Valpolicella, il Friularo di Bagnoli, il Cannellino di Frascati, il Fiori d’arancio dei Colli Euganei, il Buttafuoco e il Sangue di Giuda dell’Oltrepo’ Pavese, la Falanghina del Sannio, il Gutturnio e l’Ortrugo dei Colli Piacentini, la Tintillia del Molise, il Grechetto di Todi, il Vin santo di Carmignano, le Doc Venezia, Roma, Valtenesi, Terredeiforti, Valdarno di Sopra, Terre di Cosenza, Tullum, Spoleto, Tavoliere delle Puglie, Terre d’Otranto.

La mancata protezione delle denominazioni di vino italiane nei diversi Paesi non solo rischia di favorire l’usurpazione da parte dei produttori locali ma – conclude la Coldiretti – favorisce anche l’arrivo su quei mercati di prodotti di imitazione realizzati altrove.