Dopo Nino, ecco Sandro. Nino ha festeggiato gli 80 anni il 26 aprile e ora tocca a Sandro. Nino e Sandro, gli eterni nemici. Come Bartali e Coppi, Mazzola e Rivera, Alì e Foreman, così Benvenuti e Mazzinghi hanno infiammato le cronache sportive dei Sessanta, quando la boxe in Italia competeva col ciclismo come secondo sport nazionale e prendeva a prestito gli stadi del calcio per i grandi eventi. E li riempiva.

Dopo Nino, ecco Sandro. Compirà 80 anni oggi, 3 ottobre e li festeggerà in famiglia, nella sua casa di Cascine di Buti, una villa circondata da vigneti, nella piana di Pontedera, dove è nato e vive da sempre, lontano dalla città, dai rumori, dalle luci della ribalta, perché Sandro è fatto così, è uno di campagna, un eroe del ring che odia le passerelle, i bagni di folla. Sandro è un indomabile lottatore e basta. È uno che ha sempre lottato, sul ring e nella vita, con un coraggio infiito anche contro una sorte non particolarmente benevola.

Quella fetta di gloria che si è guadagnato nella storia della boxe italiana è impastata solo di sudore, sacrifici e coraggio, tanto coraggio. Senza Mazzinghi, forse Benvenuti non sarebbe stato quello che è stato. Perché il primo titolo iridato Nino lo strappò proprio a Sandro che lo aveva conquistato due anni prima (1963) a Ralph Dupas e lo aveva difeso vittoriosamente già tre volte, compresa la rivincita in Australia con lo stesso Dupas. E quella notte a S. Siro, quando Nino mise ko Sandro con un perfetto montante destro al mento, esplose la rivalità fra i due.

Sandro non ha mai accettato quella sconfitta, innanzitutto perché sosteneva che la Federazione lo aveva costretto ad accettare quel match in un momento in cui lui non era pronto. E poi perché Giovanni (così lo chiama) – raccontava – aveva abbandonato, era tornato all'angolo urlando “Non ce la faccio più, questo mi ammazza!”. Convinto a continuare, tirò fuori quel montante-capolavoro che pose fine al match: “Ma l'arbitro contò troppo in fretta”. E neppure la rivincita romana di sei mesi dopo, vinta ancora da Nino, stavolta ai punti dopo quindici accanite riprese, convinse Sandro ad accettare la sconfitta.

Ma Sandro non si arrese. È sempre stato un combattente, uno che non molla mai la preda. Sul ring non concedeva mai un centimetro all'avversario, lo incalzava e colpiva senza tregua togliendogli spazio e fiato, fino all'esaurimento. Non era bello come Nino, non era biondo come Nino, non parlava forbito come Nino. Sandro era ed è uno di campagna, pane al pane e vino al vino. Da piccolo, nell'immediato dopoguerra, ha conosciuto la fame. Quando gli proposero il primo match da dilettante contro un avversario più grosso di lui per sostituire un pugile venuto meno all'improvviso, chiese “Quanto ci guadagno?”, “Una bistecca, un pezzo di pane e la frutta”, la risposta fu immediata: “Accetto”.

Quel mondiale perso con Benvenuti, quella sconfitta mai accettata, Mazzinghi la cancellò a suon di pugni, alla sua maniera. Si riprese quel titolo nel maggio 1968, ancora a Milano, nello stesso stadio di San Siro, in un altro epico match, strappandolo al coreano Kim Soo Ki, lo stesso che lo aveva “rubato” a Benvenuti in un match-farsa a Seul. In sostanza Mazzinghi vendicò Benvenuti riportando in Italia e riprendendosi quel titolo che era già
stato suo e che riteneva ingiustamente perduto. La “guerra” fra i due è durata più di mezzo secolo. Inutilmente Nino gli ha teso più volte la mano per una conciliazione sempre rifiutata.

La “pace” è scoppiata pochi mesi fa quando Sandro ha fatto gli auguri a Nino per gli 80 anni: “Abbiamo fatto la storia del pugilato italiano”, e poi gli ha lanciato un “Forza Giovanni” quando Nino è stato ricoverato d'urgenza per un malore. Ora tocca a Benvenuti fargli gli auguri per gli 80 anni. Ottanta... nostalgia per quel pugilato di grandi eroi e di grandi eventi di cui purtroppo da noi si è persa la traccia.