Non è una sfida di sopravvivenza, anche se poco ci manca, ma la prossima evoluzione dei nostri consumi alimentari. Nasciamo, come specie, onnivori. Nei secoli in molte culture la carne è stata sinonimo di benessere socio economico e quindi, quando possibile, è stata inserita in misura sempre maggiore nelle diete e sembriamo virare, ora, verso un’alimentazione a base vegetale.

Non si tratta solo di una moda ma di una vera e propria tendenza. Stiamo parlando dell’aumento della domanda dei prodotti alimentari di derivazione vegetale e, tra questi, anche e soprattutto di quelli che "sostituiscono", simulandone le caratteristiche, quelli di origini animale: dalla panna all’hamburger vegetali sino alla "fake meat", quella cioè prodotta in laboratorio. Negli Stati Uniti tra giugno 2017 e giugno 2018 le vendite di alimenti a base vegetale sono aumentate di oltre il 20%. In Gran Bretagna un consumatore su otto si dichiara vegano o vegetariano, mentre tre persone su dieci dicono di aver ridotto il consumo di carne nell’ultimo anno.

Tesco – catena distributiva leader nel panorama inglese – ha registrato un incremento del 25% nelle vendite di piatti pronti vegani e vegetariani. Negli Usa le vendite del latte vegetale sono aumentate del 9% mentre una serie di altri sostituti dei prodotti lattiero-caseari registrano tassi di crescita che arrivano ad un +131% per le panne e ad un +55% per gli yogurt. E le aziende del settore non possono che muoversi per soddisfare queste richieste: Danone ha investito 60 milioni di dollari per espandere la produzione di bevande a base vegetale nella divisione del Nord America mentre McDonald’s ha introdotto il Burger McVegan in Finlandia e Svezia.

Tyson Food invece, il secondo più grande produttore di carne al mondo, ha recentemente acquisito il 5% di quota di Beyond Meat, un’azienda che dal 2009 si occupa di produrre in laboratorio sostituti vegetali della carne. Non ci siamo però semplicemente di colpo innamorati dell’insalata e dei suoi derivati, certo la moda in qualche misura influisce sul fenomeno, ma fenomeno, e innamoramento, sono figli anche di un problema di sostenibilità. Sostenibilità dal punto di vista della salute e dell’ambiente.

Troppa carne e proteine animali rendono infatti una dieta insalubre, con eccessi di grassi e colesterolo che possono incidere su diverse patologie a partire da quelle cardiache. E sostenibilità ambientale perché produrre carne e derivati ‘costa’ moltissimo in termini di acqua, suolo consumato ed anche emissioni di gas serra. Tanto per fare un esempio, la mucca che diventerà bistecca prima di finire sulla nostra tavola beve centinaia di litri d’acqua, bruca centinaia di chili d’erba e produce gas di scarto sotto forma di flautulenze che, per quanto possa apparire incredibile, contribuiscono al riscaldamento globale. Per questo la carne sta venendo estromessa dalla nostra alimentazione.

Un discorso che riguarda, purtroppo, non l’umanità nella sua interezza ma il mondo occidentale in primis e chi può permettersi scelte alimentari. Non siamo mai stati carnivori in toto ma stiamo dunque abbandonando le proteine animali. Questo non vuol però dire necessariamente che ci trasformeremo in erbivori pronti a brucare e ruminare. Una sorta di mucche a due zampe. Tanto per fare un esempio, secondo i dati messi insieme oggi dal Sole24Ore, il 21% della popolazione oltre Manica si dichiara infatti flexitariana (cioè semi- vegetariana) e tra coloro che si inseriscono nelle categorie di vegani e vegetariani più della metà continua a consumare proteine di origine animale in alcune occasioni particolari.

Il futuro allora sarà ancora una volta degli onnivori, di quelli che mangeranno frutta e verdura ma senza rinunciare, almeno ogni tanto, ad una bistecca, un uovo o fetta di pane imburrato. È la nostra natura e, in fondo, la dimostrazione che la varietà è sempre la scelta migliore contrapposta a qualsiasi forma di integralismo. Anche in campo alimentare.