In America, un secolo, un secolo e mezzo fa il lavoro in miniera poteva equivalere a una condanna a morte. A cavallo del 1900, le tragedie si susseguivano mensilmente, con centinaia di vittime alla volta. Le miniere erano centinaia, di carbone, d’argento, d’oro, di altri minerali, e la manodopera, non di rado minorile, era sfruttata spietatamente. Sovente scoppiavano rivolte, represse con la violenza dalla polizia o dai “contractors”, gli sceriffi privati, come vengono chiamati adesso: negli Anni venti, persino i Rockfeller, una delle massime dinastie industriali e finanziarie americane, ebbero sulla coscienza una strage di uomini, donne e bambini nella West Virginia.

I minatori erano carne da cannone, immigrati senza altri sbocchi, per lo più italiani o europei dell’est. L’eredità di quei tempi della sofferenza sono le “ghost towns”, le città fantasma che costellano parecchie aree degli Stati Uniti, città minerarie decadute perché non più redditizie, o perché rese obsolete dalle nuove tecnologie, o perché chiuse per aver distrutto l’ambiente circostante. Ma i terribili sacrifici dei minatori italiani, e degli altri nostri immigrati negli slums metropolitani, hanno dato frutti. I loro figli studiarono e si fecero strada, e i loro nipoti siedono oggi alla Corte costituzionale, come i giudici Sam Alito e Antonino Scalia, o al Congresso, come Nancy Pelosi, la prima donna presidente della Camera. E per la prima volta, tra i candidati alla Casa bianca c’è stato un italo americano, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani. Un elenco che continua all’infinito.

Nei confronti della più grande generazione dei nostri immigrati, che riuscì a tenere unita e migliorare la condizione famigliare, quella attuale di medici, scienziati, docenti italiani in America, e così via, ha contratto un grosso debito. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando l’intellighenzia ebraica dovette lasciare l’Italia, l’America scoprì di avere nel nostro paese un serbatoio di cervelli, e da allora vi ha attinto liberamente. Ma grazie al popolo delle braccia suo predecessore, il popolo dei cervelli si trovò la strada spianata. Nel mondo, il contributo italiano alle scienze è in genere sottovalutato. Eppure, l’Italia contribuì ad alcune delle massime scoperte scientifiche della storia, elettricità, telefono, radio, atomo, creando addirittura folclore: Frankenstein fu ispirato dagli esperimenti di Luigi Galvani sui cadaveri.

Tra le due emigrazioni c’è però una importante differenza. La prima, la più umile, fu inevitabile, l’Italia non era in grado di sfamare tante bocche. Ma la seconda, tuttora in corso, non dovrebbe essere permanente, l’Italia ha bisogno dei suoi cervelli per vincere la sfida della globalizzazione. Essi devono potere ritornare un giorno dall’America, e per attirarli lo stato italiano ha l’obbligo di finanziarne le ricerche e di dare loro il riconoscimento e il trattamento che meritano. La politica della scienza è una sola, non dipende dai partiti, è eccellere negli uomini e nei mezzi. Ma questo governo trascura gli italiani nel mondo. Taglia le poche risorse conquistate negli anni. Decide di ghigliottinare anche la stampa italiana all'estero.... Figuriamoci se si ricorderà di Monongah...

LA REDAZIONE