Dal 2001 al 2017 non c'è stato nessun altro gruppo etnico che abbia fatto peggio. Ci si può consolare, se può bastare, con la lingua ungherese: in quel lasso di tempo è scesa del 38%, stesa percentuale dell'italiano. Ma nel 2001 c'erano appena 104.000 ungheresi che nelle loro case parlavano ancora la lingua d'origine. Ora sono rimasti appena 64.000, ma i magiari non sono mai stati al vertice e nemmeno ai primi posti tra i gruppi etnici che hanno attraversato l'Atlantico per raggiungere il sogno americano.

Gli italiani invece una volta erano tantissimi, e ancora oggi, parliamo di italo-americani, rappresentano uno dei gruppi etnici più numerosi: oltre 18 milioni. Ma in casa a parlare ancora la lingua di Dante sono rimasti sempre in meno. Nel 2001 erano 893.000 e nel giro di sedici anni, parliamo del 2017, ultimi dati a disposizione, si sono ridotti a 554.000, un calo netto del 38%. E sono dati ufficiali, del Census americano, a mettere in rilievo un dato che rappresenta un pericolo, ormai diventato incontrastabile, per il patrimonio di una nazione che negli Stati Uniti rappresenta sempre una parte importante, se non fondamentale della cultura a stelle e strisce.

E il declino della lingua italiana dovrebbe rappresentare un nuovo campanello d'allarme soprattutto per i nostri politici che invece non fanno nulla per contrastare questa tendenza, anzi adottano ogni soluzione in loro potere (come anche l'annullamento dei contributi all'editoria) per aiutare a far sì che tra qualche anno della nostra lingua non rimanga traccia nelle case degli americani. Un dato triste quello che ha messo in luce il Census accompagnandolo da un lato anche dal numero sempre minore di nativi italiani che risiedono negli Stati Uniti. Ma non è questa la 'chiave' di lettura del crollo verticale della nostra lingua perchè se nel 2001 c'era negli USA un popolazione di 530.000 persone nate in Italia, la lingua la parlavano quasi il doppio.

Oggi chi in Italia ci è nato, ma vive negli States è un numero leggermente inferiore, 400.000 circa, ma questo calo da solo non giustifica il -38% perso nell'arco di 16 anni. Infatti il grafico che riguarda gli italiani e la lingua di Dante è molto chiaro: la discesa della seconda linea è molto più verticale rispetto a quella della prima. Si tratta, alla fine di quello che viene chiamato 'assimilazione, infatti tra il 1930 e il 1970 il numero di nati in Italia e residenti negli Stati Uniti rappresentava il gruppo straniero più consistente, rispetto a qualsiasi altra nazione. Ma con i cambi generazionali, c'è stato inevitabile anche quello della lingua, nonostante l'attaccamento alle origini, lo dimostrano ancora oggi le innumerevoli feste italiane che si svolgono dall'Est all'Ovest.

Ma dell'Italia negli Stati Uniti c'è rimasto soprattutto l'attaccamento alla gastronomia, il resto è andato scemando, un trend che non si ferma. E se quasi non si parla più italiano nelle case, nel 1980 c'era solo l'11% degli statunitensi che dentro alle proprie mura domestiche erano in grado di usare un'altra lingua oltre all'inglese. Oggi, pur quasi sparendo l'italiano, quell'ultima percentuale è raddoppiata, arrivando al 22%, fatto questo dovuto alle nuove ondate di emigranti, che non arrivano più dall'Europa (e dall'Italia), ma soprattutto dall'Asia e dal Centro e Sud America.

E se l'italiano si sta avvicinando alla linea di non ritorno, altre lingue europee hanno intrapreso una strada simile, anche se con numeri meno eclatanti. Infatti alle spalle dell'italiano, ma comunque a un certa distanza, c'è il tedesco che ha perso tra il 2001 e il 2017, il 25%, passando da 1,2 milioni a 905.000. Poi ancora il greco, con il -21%, ma con numeri che erano molto inferiori a quelli degli italiani (da 341.00 si è arrivati a 269.000), quindi c'è il polacco, sceso del 15% (passato da 604.000 a 512.00), mentre il francese, tra le lingue europee, è quella che meglio di ogni altra ha resistito: infatti la perdita è stata mantenuta al -12% e ancora oggi nelle case americani parlano francese 1.185.000 persone contro 1.349.000 di sedici anni fa.

Ma oggi, sempre secondo il Census, in cinque tra le più grandi città degli States, il 48% degli abitanti parla una seconda lingua. In particolare a Los Angeles si arriva al 59% a New York e Houston il 49% che diventa il 38% a Phoenix e il 36% a Chicago. In totale si è giunti a 66,6 milioni, un record per gli USA con il picco nella città di Hialeah (Miami-Dade County) in Florida, dove si tocca il 95%. Tra gli stati al comando la California che ha tra le mura domestiche il bilinguismo che raggiunge il 44% del totale, mentre gli incrementi maggiori si sono verificati nel Wyoming (+33%) e North Dakota (+30%). E tra il 2010 e il 2017, l'incremento maggiore si è verificato per la lingua spagnola, oltre un milione, seguita dal cinese (630.000) e arabo (363.000).