Nel presentare ciò che, secondo lui, il governo gialloverde ha realizzato, il “beato” (su designazione del premier Giuseppe Conte, nella conferenza stampa di fine anno) Luigi Di Maio, avrebbe potuto risparmiarsi un bel po’ di fatica. Sarebbe bastato, infatti, sintetizzare il lungo elenco di (s)”Fatto”, nella “summa” del programma politico proposto dai suoi guru Grillo e Casaleggio 1 e 2: “decrescita (in)felice”.

Bisogna, però, anche riconoscere che di cose sfatte nell'occasione dal governo pentaleghista, meritevoli di citazione, ha dimenticato la più significativa: l'esautorazione del Parlamento (e non solo del Senato, come “voleva” Matteo Renzi, ma di entrambe le Camere), con consequenziale mutilazione della parte seconda della “Costituzione”. Quella, relativa all'“ordinamento della Repubblica” ed alla “formazione delle leggi”.

Non lo ha fatto, però, per modestia, bensì per fare in modo che gli italiani non se ne accorgessero subito e nella speranza che – a differenza dell'ex premier che, tale obiettivo, pensava di poterlo raggiungere, con il consenso degli italiani e lo stravolgimento della nostra “Magna Charta” - non se ne rendano conto neanche in futuro. Almeno non in quello più immediato.

Con le tre poste, infatti, per l'approvazione della “legge di stabilità 2019” (di cui una, addirittura, su una manovra farlocca che tutti – compresi i votanti - sapevano che sarebbe stata cambiata nella successiva assemblea al Senato e che loro avrebbero dovuto rivotare dopo il via libero dei senatori) l'esecutivo Conte ha toccato quota 10 nelle fiducie in appena 6 mesi, anzi 4, visto che la prima è arrivata a settembre. In pratica, 2 fiducie e mezzo al mese. E scusate se è poco!

Ancora di più alla luce del numero decisamente limitato e della qualità, scarsissima, delle leggi approvate.

Tant'è che, vi si è fatto ricorso, non per evitare possibili trappole da parte della minoranza e, quindi, velocizzare l'approvazione del documento in discussione, bensì – visto, che in questa legislatura, parlare di opposizione è solo un eufemismo - per superare i contrasti politici esistenti all'interno della maggioranza pentaleghista.

Per averne consapevolezza, basta pensare, che il primo ricorso a questo strumento è arrivato con il decreto "milleproroghe", contenente il taglio dei fondi alle periferie e l'autocertificazione per i vaccini.

Realtà, resa ancora più evidente, dalla doppia fiducia - al Senato e alla Camera - sul decreto sicurezza, voluto da Salvini, e contrastato da una numerosa frangia di 5Stelle, assolutamente contraria.

Stesso discorso, per il disegno di legge anticorruzione, anche in questo caso lo scontro fra Lega e 5Stelle è stato possibile “sedarlo”, solo ricorrendo alla “coercizione” del Senato per l'emendamento Vitiello sul peculato. Sicché, va detto con franchezza, che se, in questo Paese è a rischio la qualità dei conti pubblici, non si può certo dire che stia messa molto meglio, quella della democrazia.

Entrambe ostaggio di un'alleanza ibrida fra due forze politiche, che in comune hanno tanto poco che niente e, tra l'altro, schierate su posizioni assolutamente contrapposte e obiettivi tutt'altro convergenti, anzi.

La sommatoria, insomma, di due “movimenti” eterogenei, incapaci di suscitare simpatie e parlare al Paese nella sua interezza, ancora meno di ascoltarlo. Bravissime, però, a “titillare”, con promesse suggestive e per altro contraddittorie - quando non addirittura, collidenti tra loro - i rispettivi elettorati.

Visto quello che è successo in questi 180 giorni di governo, non oso neanche immaginare, cosa succederà da ora in avanti, dal momento che è già tempo di campagna elettorale per il rinnovo delle Euoparlamento.

Non dimentichiamo, infatti, che sarà proprio il risultato di quest'appuntamento con le urne, che determinerà i futuri equilibri fra “celoduristi” e “pentastellati”. Soprattutto fra i “leader maximi”: Salvini e Di Maio.