“La legge, come abbiamo sempre detto, – ha ribadito Luigi Di Maio ad Alleghe in provincia di Belluno – riguarda il reddito di cittadinanza per coloro che sono cittadini italiani”. Il ministro del Lavoro ha inteso smentire, parlando a una platea del profondo Nord, che il sussidio andrà anche agli stranieri, eventualità che aveva messo sul chi va là l’alleato di governo, con gli amministratori leghisti pronti a mobilitarsi per respingere la norma.

Di fatto, però, Di Maio ha smentito, oltre che i suoi compagni di Movimento, anche quanto c’è scritto sull’ultima bozza del decreto che dovrebbe dare attuazione alla norma: nero su bianco infatti si legge che il reddito di cittadinanza deve essere esteso anche ai cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno e residenti in Italia da almeno cinque anni.

La relazione tecnica che accompagna il testo è ancora più precisa: ad averne diritto, cioè coloro che ne hanno tutti i requisiti patrimoniali e anagrafici, sono un milione e 375mila nuclei familiari, di cui duecentomila famiglie di stranieri regolarizzati. I sindaci leghisti del nord annunciano rivolta, la base mugugna, lo slogan “prima gli italiani” vacilla.

Il ministro Di Maio smentisce cedimenti di sorta ma non può non sapere che l’estensione del reddito di cittadinanza agli stranieri era una soluzione obbligata per garantire alla legge il crisma della legittimità: la Costituzione infatti non ammette discriminazioni su base etnica.