DI OTTORINO GURGO
Forse abbiamo sbagliato tutti (e io sono in prima fila tra coloro che devono recitare il "mea culpa"). Il fatto è che sin dall'inizio del suo mandato abbiamo riservato un ironico sorriso a Giuseppe Conte - prendendo a prestito il titolo di una commedia del grande Eduardo - una sorta di "zi nisciuno", uno che non conta niente, catapultato, suo malgrado, a Palazzo Chigi, per assolvere il ruolo di "yes man" nei confronti del pur sprovveduto Di Maio e del tracotante Salvini. Ai più (noi compresi, lo ripetiamo) il buon Conte appariva come il proverbiale vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro. Ora il tempo sembra rendergli in qualche misura giustizia, mentre si approfondisce il solco che divide il leader leghista e quello pentastellato. In realtà, silenziosamente, senza darlo a vedere, Conte dà l'impressione di voler prendere le distanze dai suoi dante causa.
E sembra volerlo fare soprattutto su due temi cruciali: quello del rispetto dei principi e dei valori della Carta costituzionale e quello dei rapporti con i partner europei.
Non è un caso, tanto per citare un episodio recente, che il presidente del Consiglio abbia tenuto un atteggiamento radicalmente opposto a quello del ministro dell'Interno nella disputa con i sindaci sull'opportunità di dare applicazione al decreto sicurezza nei confronti dei migranti.
Così, mentre Salvini ha dato ai sindaci "ribelli" dei "traditori", facendo la faccia feroce, insultandoli e minacciando l'invio di ispettori, Conte ha usato una linea soft, aprendo loro le porte di Palazzo Chigi per instaurare un dialogo costruttivo.
Non solo, ma a Salvini che proclamava che mai e poi mai avrebbe aperto i porti italiani ai migranti, ha replicato: “Vado io a prenderli io in aereo”.
E la linea del dialogo è stata quella che il premier ha scelto anche nei confronti dell'Unione europea, impegnandosi in estenuanti faccia a faccia con il presidente Junker, così da evitare che la "querelle" tra Italia e Ue si concludesse traumaticamente e con l'adozione di sanzioni a danno del nostro Paese.
Ha notato un prestigioso quotidiano che, in pochi mesi, Conte è passato da "premier esecutore" a "premier mediatore"; ruolo che ha dimostrato di saper assolvere con assoluta diligenza e grazie al quale ha ottenuto un duplice risultato: accrescere il proprio peso tra i cinquestelle dimostrando di saper fronteggiare con maggiore efficacia di Luigi Di Maio, l'arrogante invadenza di Matteo Salvini e di venire considerato da Sergio Mattarella il più affidabile dei suoi interlocutori all'interno del governo. Intendiamoci. Non siamo dei fan di Giuseppe Conte.
Diciamolo, anzi, senza infingimenti: non lo consideriamo il migliore dei possibili capi di governo possibili per un paese come l'Italia.
Non basta a renderlo tale l'acquisità capacità di barcamenarsi tra le spinte spesso contrapposte di Lega e Cinquestelle.
Una tale dote non è, infatti, sufficiente a colmare il vuoto di iniziativa e di fantasia che lo caratterizza e la mancanza di esperienza politica che spesso rivela. Senza contare - si tratta di un dettaglio, ma i dettagli hanno la loro importanza - che non riusciamo a perdonargli di aver eletto a proprio portavoce un personaggio come quel Rocco Casalino che appare costantemente al suo fianco.
Ma, alla resa dei conti, viene da rispolverare per Giuseppe Conte, il vecchio proverbio latino: "beati monoculi in terra caecorum" che, liberamente tradotto, sta a significare: il mediocre eccelle se coloro con i quali viene messo a confronto sono peggiori di lui.