Banfi Lino è una persona dolce e dolcemente, appena indicato da Di Maio come rappresentante del governo italiano nell’Unesco, ha fatto sapere di sperare non serva parlare inglese. Perché lui, Lino Banfi, l’inglese non lo sa. Lino Banfi l’inglese non lo sa, o forse ci scherza sopra. Perché non parlare inglese al mondo d’oggi è un handicap. Handicap condiviso peraltro da buona parte del ceto politico del paese.

In discreta consonanza anche qui con il popolo: siamo il paese più restio allo studio, conoscenza e pratica reale delle lingue straniere. E non è pigrizia, è assuefazione. Assuefazione ad un’asfissia culturale antica, oggi rivenduta con vintage di successo come orgogliosa autarchia. Lino Banfi sventolato da Di Maio come ambasciatore di popolo vero e verace all’Unesco non è cosa che sposterà le sorti del mondo.

Lino Banfi è simpatico, ha esperienza di vita, un nonno più o meno saggio. E l’Unesco non è poi che conti così tanto nella realtà. Insieme Banfi e l’Unesco non faranno certo danno. Il danno è altro ed è enorme: è il perché Di Maio ha scelto Banfi e il messaggio che questa designazione invia con clamore e fragore. Messaggio inviato al solito popolo italiano. Di quello inviato all’estero non vale dire, tanto del resto del mondo ce ne freghiamo, vero Di Maio?

Il messaggio è stato chiaro, netto, pronto, esplicito, forte: basta coi laureati! E se plurilaureati, due volte basta!  Basta con questi che hanno studiato e perciò vogliono ruoli e incarichi!  Basta con questa storia secondo cui chi sa per aver studiato ha più titoli e diritti di occuparsi delle cose di interesse collettivo. Basta con questa storia delle cose complesse e complicate che per gestirle ci vuole competenza. Basta!

E’ in pieno, praticata e predicata, la rivolta dei somari. E’ la somarità-sovranità. E’ il trionfo, il potere ai somari.  La rivolta dei somari e il governo dei somari, la somarità al potere. I somari, non quelli che hanno studiato meno o non hanno potuto studiare o stanno studiando o hanno fatto più fatica a studiare. Incompetenti in qualcosa o più di qualcosa siamo tutti e fin dai tempi della scuola i più di noi faticavano con lo studio. E la fatica dura tutta una vita. E dalla scuola alla vita si possono, capita di prendere brutti voti o dover tornare sui libri senza essere per nulla somari.

Il somaro è altra cosa, è consapevole di sé, orgoglioso di sé, persino vanitoso della sua somarità. La esibisce, non la subisce. Fa dall’incompetenza, del non sapere un tubo di ciò che maneggia e muove, una suprema virtù civile. La rivolta del somaro non rivendica i pari diritti del somaro, che pure ci sono. La rivolta dei somari danza festosa e irridente davanti a biblioteche, laboratori, Università…intonando felice un: siete inutili, facciamo a meno di voi. La rivolta dei somari intima a chi ha studiato: il tuo tempo è finito, è arrivato il nostro.

Luigi Di Maio non ha nessuna competenza, nessuna professione alle spalle, nessun profilo e bagaglio di studi specifici. E quindi un giorno discetta e sentenzia di finanza e moneta, l’altro di colonialismo, l’altro ancora di economia industriale e di storia, geopolitica, biologia, diritto civile e internazionale…

Alessandro Di Battista non ha nessuna competenza in nulla ma scrive sui giornali di tutto e tutte le tv gli chiedono expertise di ogni cosa. Danilo Toninelli, Paola Taverna…sono loro tutti a farsi vanto e onore delle loro non competenze, competenze vissute e narrate come stigma di casta. Non c’è nulla di male e nulla di strano ad essere somari, in qualche campo lo siamo per forza tutti. Ma la rivolta e la rivendicazione e la legittimità del potere in nome e per conto e mandato e missione della somarità, la sovranità della somarità, il sovranisno sovrano… Questo non è fascismo, è peggio.