Mentre l’opinione pubblica, la stampa, l’attenzione dei cittadini sono distratte dal reddito di cittadinanza e dal nuovo regime pensionistico, si sta preparando l’ennesimo attacco ai fondamenti del dettato costituzionale. Sulla base di un metodo di contrattazione politica fatta di patti sotto banco e di impegni a non bloccare provvedimenti favorevoli all’uno o all’altro, i due veri presidenti del consiglio si sono scambiata la promessa di non pestarsi i piedi a vicenda; cosicché Salvini ha garantito a Di Maio la non belligeranza sulla proposta dei gialli pentastellati relativa al referendum propositivo e quest’ultimo ha garantito la non opposizione al decreto leghista sulla legittima difesa.
Ciò che appare preoccupante è un chiaro tentativo di demolire gradatamente i principi basilari della Carta Costituzionale, come appare chiaro nel progetto sostenuto da Di Maio sul referendum propositivo senza che vi sia una precisa determinazione delle materie e degli argomenti da sottoporre alla scelta referendaria e con un basso quorum di ammissibilità al 25% degli aventi diritto al voto.
Pare che anche il Pd abbia avuto con i 5 Stelle un confronto e ottenuto modifiche che lo spingerebbe ad astenersi. Desta meraviglia che il Pd non si sia reso conto del vero obiettivo del populismo grillino: compiere il primo passo per sostituire all’odiata democrazia parlamentare – quella degli “inciuci”, dello strapotere dei partiti, delle lungaggini regolamentari, delle paralisi politiche, e così via – la democrazia diretta. Siamo dinanzi ad un ulteriore tentativo di mortificazione, se non di vera e propria cancellazione, delle prerogative di uno dei tre poteri sui quali si è sinora fondata la democrazia specialmente dopo la triste esperienza dei regimi totalitari della prima metà del secolo XX.
Si potrà certo discutere, accettandola o criticandola, sulla qualità ed efficacia della produzione legislativa del Parlamento italiano, ma bisogna riconoscere che essa è nata e si è distinta come momento insostituibile di una dialettica aperta col potere esecutivo, chiamato fondamentalmente a mettere in pratica i programmi e le scelte dei rappresentanti del popolo.
Il disegno di attacco al sistema parlamentare diventa sempre più evidente, dal momento che pone sullo stesso piano il potere dei comitati referendari e quello del parlamento e anzi, in caso di conflitto, fa prevalere il responso del referendum sul voto parlamentare anche in riferimento a leggi fondamentali come quelle tributarie, di bilancio dello Stato, di concessione di amnistie e persino di trattati internazionali.
Viene così completamente stravolto e annullato il contenuto dell’art.75 della Costituzione, un articolo che va probabilmente modificato nella parte che regola il numero dei firmatari e il quorum dei votanti, ma non in quella delle materie per le quali il referendum non è ammissibile, materie che toccano punti nevralgici e fondamentali dell’ordinamento dello Stato democratico.
Conosciamo bene quale è l’obiezione che da più parti viene sollevata verso questa difesa della democrazia parlamentare e rappresentativa e cioè se merita di essere ancora salvata una organizzazione dello Stato che si affida ad una istituzione, quella parlamentare, che sta mostrando tutti i segni della sua debolezza e della sua progressiva inefficacia rispetto ad un esecutivo che adopera smodatamente il voto di fiducia e rispetto a partiti che eleggono rappresentanti scelti il più delle volte da poche decine di frequentatori dei social.
Siamo convinti che anche l’attuale modello di democrazia parlamentare vada radicalmente riformato e non ci spaventa una riforma dello Stato che veda un mix virtuoso tra democrazia rappresentativa e democrazia plebiscitaria.
Si tratta di un compito ineludibile e che va assolto in tempi brevi. Con un unico punto che non metteremo mai in discussione, il principio della divisione dei poteri, che resta a l’ultimo baluardo per garantire vecchi e nuovi rapporti tra giustizia, politica e società.