Siamo in recessione: L’Istat ce lo ha appena confermato. Al di là dell’incertezza delle cifre provvisorie, è chiaro che non stiamo crescendo ad un ritmo che permetta di aumentare l’occupazione e di migliorare i redditi. Ma paradossalmente troppi italiani rifiutano di accettare le cause del nostro problema di crescita bassa o nulla. Se l’opinione pubblica non ha una chiara idea delle ragioni della nostra bassa crescita, c’è poca speranza che i governi possano fare qualcosa per rimuoverle.

Da circa trenta anni l’Italia cresce sistematicamente meno degli altri paesi industrializzati e meno degli altri paesi dell’eurozona. Il declino economico italiano di questo periodo è estremamente ben documentato, non solo dal punto di vista statistico, ma anche da quello analitico. Gli esperti hanno identificato le cause di questa mancanza di crescita sulle quali è stato scritto veramente tanto. Eppure nel dibattito politico non si parla più di queste cause della mancata crescita italiana e si rincorrono capri espiatori, di preferenza esterni al nostro paese.

Negli anni sessanta e settanta l’Italia era nella pattuglia di testa dei paesi industrializzati per quanto riguarda il tasso di crescita economica. Le cose hanno cominciato a guastarsi nel corso degli anni ottanta quando il paese è rientrato nel plotone e si è collocato in una posizione intermedia.

Negli anni novanta l’Italia è stata però il paese dell’Unione europea con il più basso tasso di crescita, solo il Giappone e la Svizzera hanno avuto tassi di crescita medi per il decennio più bassi del nostro. Nei primi dieci anni di questo secolo, l’Italia ha avuto addirittura il tasso di crescita più basso tra tutti i principali paesi industrializzati e nel periodo 2011-2018 è stata salvata da una nuova lanterna rossa dalla Grecia che in questo periodo ha registrato ben cinque anni di recessione.

Il raffronto tra il tasso di crescita del nostro paese e quello degli altri 18 paesi che costituiscono oggi l’Eurozona è particolarmente importante. Si tratta di paesi che hanno lo stesso tasso di cambio, la stessa politica monetaria, gli stessi vincoli di bilancio, la stessa politica commerciale e che devono tutti rispettare il quadro legislativo europeo. Tra il 1992 ed il 2018 il resto dell’Eurozona è cresciuto più di noi ogni anno con la sola eccezione del 1995. Il tasso di crescita medio del resto dell’Eurozona in questo lungo periodo è stato di circa l’1.8 per cento, mentre quello italiano è stato di un punto percentuale inferiore: solo lo 0.8 per cento.

Il nostro PIL pro-capite in termini reali non è ancora ritornato al livello del 2007. Serviranno ancora vari anni di crescita per raggiungere questo obiettivo, oggi siamo ancora al di sotto del livello del 2007 di circa sette punti percentuali. Solo la Grecia e l’Italia non hanno ancora recuperato i livelli di PIL pre-crisi. Siamo passati dall’essere un paese con un PIL pro-capite superiore alla media dell’UE a 28 paesi ad essere un paese con un PIL pro-capite inferiore alla media.

L’Italia non cresce per dei motivi che in fondo tutti conosciamo.

L’Italia non cresce perché troppe cose non funzionano e hanno contribuito a creare una situazione dove la nascita e lo sviluppo delle attività economiche – quello che crea occupazione e redditi – sono diventati molto più difficili che in altri paesi.