DI LUCIO FERO

Gilet gialli, adesso ci arriviamo, per ora partiamo da Roma, Palazzo Chigi, governo, premier, Giuseppe Conte che a proposito dei gilet gialli francesi dice testuale: “Piaccia o no, sono il nuovo”.

E allora, ci può essere frase più innocua ed ovvia? Conte premier del governo della Repubblica italiana dice, constata appunto un’ovvietà: i gilet gialli sono il nuovo.

Nuovo… Proviamo a declinarlo in altro modo ma con lo stesso senso questo concetto del nuovo.

Facciamo che anni fa un sindaco o un semplice cittadino o abitante di New Orleans di fronte a Katrina uragano avesse detto: “Piaccia o no, Katrina è il nuovo”.

Oppure più di recente e in casa nostra un sindaco o abitante di Genova che avesse detto: “Piaccia o no, il Morandi venuto giù è il nuovo”. Ineccepibili entrambe le affermazioni, anche le disgrazie e le sciagure sono il nuovo, indubitabilmente il nuovo.

Dire quindi: piaccia o no, è il nuovo non è affermazione neutra. E neanche innocua. Dirlo come lo ha detto Conte e come lo dicono in molti significa dare al nuovo sempre e comunque la parte del buono nella commedia e tragedia umana.

Nuovo è buono, quel che c’era e c’è prima del nuovo è cattivo e maligno. Questa coppia concettuale domina l’unico pensiero unico che in realtà sia in vigore, quello che determina appunto l’impunità mediatica dei gilet gialli. Il movimento dei gilet gialli, seppur nasce e  muove i primi passi su rivendicazioni di categoria e territorio (no all’aumento del prezzo del diesel e no al limite di velocità sulle strade di campagna), presto si mostra come di più complessa e in fondo notoria natura.

E’ un movimento che discende in linea retta dalla storia francese ed è figlio legittimo, sia pur molte generazioni dopo, della Francia rurale che si oppose strenuamente alla Rivoluzione del 1789, alla sua cultura, al suo Stato, alla sua idea di diritti e doveri universali.

Il movimento dei gilet gialli è coerentemente e compiutamente anti moderno, orgogliosamente reazionario. Oltre a quel che è, conta quel che pensa e fa. Proclama insurrezione, tenta guerra civile, chiama al sovvertimento per mano della piazza. Pratica da mesi guerriglia urbana. Si organizza in squadre di intervento che bloccano strade e usano la violenza in città. E senza tentennamenti i suoi organizzatori e militanti si dicono certi di un complotto bancario-ebraico ai loro danni (è l’opinione del 44 per cento dei gilet gialli secondo un sondaggio). Di conseguenza vogliono che gli ebrei della bancocrazia vengano messi in condizione di non nuocere. E coerentemente concepiscono la democrazia parlamentare come un’invenzione/gabbia dei globalisti/banchieri/ebrei per tenere a catena il popolo. Insomma le demoplutocrazie contro cui i fascisti facevano prima squadre d’assalto e poi guerra aperta.

Questo pensano, dicono e fanno i gilet gialli. Ma l’informazione tutta si accosta a loro con deferente posa. Sono il nuovo e il pensiero unico dell’informazione è appunto che nuovo è buona cosa. E che essere contro il sistema è buona cosa anch’essa. E quindi i gilet gialli vengono trattati con impunità mediatica: possono comportarsi da squadristi e da nazionali socialisti, comunque l’informazione tutta garantisce loro l’impunità. L’informazione, sentendosi perfino democratica, offre ai gilet gialli la par condicio con la democrazia anche quando i gilet gialli inneggiano o accennano al pogrom. Sono “nuovi” i gilet gialli e questo quasi in ogni redazione e quasi per ogni giornalista è salvacondotto, anzi patente, attestato di buona identità.

E quindi accade anche che un capo di governo che qualche libro dovrebbe averlo letto, magari visto qualche film, magari sviluppato una qualche consapevolezza della storia…Accade che un capo di governo, un Giuseppe Conte gentiluomo della provincia della storicamente e culturalmente provincialissima borghesia italiana, saluti le squadre d’azione dei gilet gialli francesi come: “piaccia o no, sono il nuovo”. Una frase che un domani potrebbe anche finire sui libri di storia. Come esempio perfetto di piena fusione tra inconsapevolezza e corrività.