Mentre Luigi Di Maio proclama: “Finché ci sarà il Movimento la Tav non ha futuro” e c’è anche chi gli crede, Roberto Perotti su Repubblica e Gianni Barbacetto sul Fatto ci tranquillizzano: il Tav si farà e comunque nessuna paura, sarà facile che il rapporto fra costi e benefici è ben diverso da come ce lo ha provato a vendere Toninelli.

Partiamo dalla rivelazione di Roberto Perotti, che è ordinario di Economia politica alla Bocconi di Milano: “Sono sempre stato scettico sulla Tav, ma devo essere l’unico scettico che è diventato meno scettico dopo aver letto l’analisi costi benefici, che pure boccia il progetto senza appello”, è l’esordio del suo articolo su Repubblica.

Perotti ritiene che “l’analisi sia tecnicamente ben fatta, da professionisti esperti, seri e preparati, e non ideologici”.

Quindi nulla da eccepire ai loro numeri, ma…”. Ed ecco l’inghippo, secondo Roberto Perotti: “Secondo gli autori, la Tav non s’ha da fare perché per l’Italia i costi eccedono i benefici di 7 miliardi. Non è così. Anche se non è affatto evidente, una lettura attenta rivela che i costi e i benefici calcolati nell’analisi si riferiscono a tutta l’Europa, non all’Italia”.

A questo punto Perotti riparametra i parametri: “Supponiamo che i costi per l’Italia siano la metà dei costi per l’Europa intera, e lo stesso per i benefici; la differenza tra costi e benefici italiani, la grandezza rilevante per noi italiani, sarebbe quindi di 3,5 miliardi invece che di 7. Ma i costi italiani sono probabilmente meno della metà di quelli europei (anche perché l’Europa probabilmente sarà disposta a finanziare una fetta maggiore) mentre i benefici italiani probabilmente superano la metà di quelli europei. Il divario tra costi e benefici italiani si ridurrebbe quindi ulteriormente, da 3,5 a diciamo 2,5 miliardi. A questo punto le penali e le spese di ripristino e di ammodernamento della linea esistente, da affrontare nel caso non si faccia la Tav, diventano fondamentali; e sono tutte a carico dell’Italia […], diciamo almeno due miliardi in totale. Il divario tra costi e benefici italiani scende quindi da 2,5 a mezzo miliardo.

“Poi c’è l’incertezza statistica sulle stime: magari cambiando in modo ragionevole alcune delle centinaia di parametri i costi diminuiscono e i benefici aumentano di mezzo miliardo in totale. Ora siamo alla parità di costi e benefici”.

Viene da pensare che se la macchina del tempo portasse nell’Italia di oggi la decisione che riempì la penisola, specie al Nord, di trafori e gallerie, non ci sarebbero molte delle linee ferroviarie che hanno contribuito a trasformare l’Italia da un insieme di staterelli da terzo mondo in quello che oggi è, o era, prima dell’avvento del Movimento 5 stelle.

Viene anche da pensare che se la macchina del tempo ci proiettasse avanti nel secolo, alla terza guerra mondiale, sarebbe più facile spostare truppe dalla Francia, sicuramente ancorata all’Occidente, alla Pianura Padana, grazie al traforo dei Frejus. Senza galleria, la Padania sarebbe più facile preda di un nuovo Patto di Varsavia, che assorba la Croazia nell’orbita russa, a sua volta in sintonia con gli amici-nemici cinesi.

Francesco Verderami ha scritto sul Corriere della Sera del 9 febbraio queste righe un po’ sibilline ma inquietanti, a proposito dello “scontro sulla Tav, che si arricchisce di un altro pissi-pissi di Palazzo: l’analisi sui costi-benefici sarebbe una foglia di fico, perché il vero problema non verterebbe tanto sull’utilità commerciale dell’opera, bensì sulla potenziale importanza strategica a livello militare della galleria. Altrimenti non si spiegherebbe l’attenzione con cui gli alleati europei e anche quelli oltre oceano seguono il dossier. I misteri e i retropensieri alimentano i reciproci sospetti in un’alleanza dove l’imperativo è marcare l’alleato”.

Fantapolitica? Certo. Ma troppe volte le posizioni dei 5 stelle riportano di attualità i timori del Manchurian Candidate.

Gianni Barbacetto, sul Fatto del 17 Febbraio 2019, ha annunciato: “Martedì 19 sarà il momento della verità sul Tav Torino-Lione. Si riunirà il consiglio d’amministrazione di Telt, la società italo-francese che si prefigge di costruire il tunnel di base tra Italia e Francia. All’ordine del giorno, il lancio dei due bandi di gara per la realizzazione dell’intero tratto francese del traforo, i tre quarti dell’opera, 45 dei 57,5 chilometri totali. Valore: 2,3 miliardi di euro.

“Sarebbe la vera partenza del Tav. […] Sarebbe anche un passo dopo il quale sarebbe difficile tornare indietro, fermando i lavori”.

Danilo Toninelli, il ministro competente, dopo la pubblicazione dell’analisi costi-benefici(pesantemente negativa per la Torino-Lione), tra lo stop e il via libera all’opera “sembra ora orientato a imboccare una terza via: lasciare che i bandi vengano pubblicati, per prendere tempo in attesa di una soluzione politica che metta d’accordo la componente leghista del governo italiano (favorevole al Tav) e quella cinquestelle (contraria)”.

Il cda di martedì, spiega Barbacetto, è la normale conseguenza della lettera firmata il 3 dicembre 2018 dai due ministri interessati, l’italiano Toninelli e la francese Elisabeth Borne, e indirizzata al direttore generale di Telt sas (Tunnel Euralpin Lyon-Turin), Mario Virano. Viene chiesto a Telt che “la pubblicazione delle gare d’appalto non abbia luogo prima della fine dell’anno 2018, rimanendo inteso che queste gare d’appalto si riferiscono all’attribuzione e alla realizzazione dei primi lotti del tunnel di base”.

L’analisi costi-benefici, è stata pubblicata, la fine del 2018 è arrivata e quindi Telt, commenta Barbacetto, si sente autorizzata a procedere con la pubblicazione delle gare. Anche perché, nella lettera del 3 dicembre, i due ministri concludevano così: “I nostri governi confermano parimenti con la presente l’interesse a beneficiare dei finanziamenti europei per la realizzazione del progetto (…). Per questi motivi, informeremo la Commissione Europea del rinvio della data di pubblicazione delle gare d’appalto e considereremo, se necessario, la definizione di un nuovo calendario che permetta il mantenimento dei finanziamenti europei previsti, in conformità agli accordi internazionali che esistono tra le parti”.

Quello che viene sottoscritto anche da Toninelli nella lettera del 3 dicembre, dunque, è soltanto un rinvio, con l’impegno comunque “a beneficiare dei finanziamenti europei per la realizzazione del progetto”, quindi di fatto a realizzare l’opera. Alla faccia dell’analisi costi-benefici”.

Difficile tornare indietro. L’articolo 98 del decreto 2016/360 sul codice francese degli appalti pubblici, a cui Telt, società di diritto francese, si sarebbe dovuta adeguare, che garantiva la non obbligatorietà di procedere con i lavori, è stato abrogato proprio il 3 dicembre 2018, giorno della lettera dei due ministri a Telt.

È stato cancellato proprio quel giorno dall’articolo 14 del decreto 2018/1075. Dato il via alla gara, ribadisce Barbacetto, “non sarà più possibile fermare l’opera. Possibile che al ministero delle Infrastrutture non sappiano il francese e non siano a conoscenza di questo piccolo particolare?”.

Martedì a decidere sarà il consiglio d’amministrazione di Telt, formato da cinque italiani e cinque francesi, più due osservatori delle regioni interessate, al di qua e al di là delle Alpi (Piemonte e Auvergne-Rhône-Alpes) e un inviato della Commissione europea senza diritto di voto.

I cinque francesi sono scelti dal governo di Parigi, quelli italiani dal governo italiano. Sono Paolo Emilio Signorini, (ex capo dipartimento del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ora presidente del Porto di Genova dopo un passaggio alla Regione Liguria di Toti; il suo profilo ufficiale sul sito del consorzio lo dà come ex componente del Cda, forse lo hanno sostituito), Oliviero Baccelli (professore dell’Università Bocconi), Stefano Scalera (del ministero dell’Economia e delle finanze), oltre al direttore generale Mario Virano e a Roberto Mannozzi, espresso da Fs, di cui è direttore centrale amministrazione, bilancio e fiscale.

“Sono nomi espressi nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, quando ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti era Graziano Delrio. Come deciderà il cda martedì prossimo?

Darà il via ufficiale al Tav Torino-Lione, con il tacito consenso del ministro Toninelli e in barba sia all’analisi costi-benefici, sia al dibattito politico sull’opera che si sostiene (ipocritamente?) essere ancora in corso?”