Il principio del moltiplicatore degli investimenti dovrebbe essere un concetto noto ai nostri politici. Ma – cosa strana – vedo che anche associazioni datoriali di categoria molto spesso si dimenticano di questo principio generale e non si oppongono a dovere a quelle che sono le scellerate politiche economiche dei nostri tempi. Per l’amor di Dio, questo non vuol dire non dover seguire il più debole anzi, questo è un elemento imprescindibile che uno stato democratico moderno deve perseguire sempre. Ma questo problema non si può gestire raschiando risorse finanziarie nel nostro bilancio senza pensare a una politica di sviluppo generale degli investimenti che porterebbe a un aumento generalizzato del livello dei redditi e quindi della diminuzione della povertà. Con il conseguente finanziamento di un fondo per la disoccupazione che potrebbe essere pensato anche nelle maniere in cui è pensato, oggi, il reddito di cittadinanza. Ma quali sono gli ostacoli che impediscono l’aumento del reddito? La risposta la abbiamo sempre letta in ogni manuale di politica economica che si rispetti. In particolare, questi ostacoli sono rappresentati dalle variabili principali della componente interna nazionale ed esterna della domanda. Nella fattispecie essi sono identificabili, per ciò che concerne la componente interna della domanda, dalla realizzazione delle infrastrutture e quindi dall’incremento di lavori pubblici, e dall’efficienza di questa realizzazione, vale a dire i tempi in cui si realizzano tali opere perché solo con una presumibile certezza dei tempi di realizzazione si riducono i costi di investimento. Mentre, invece, per il secondo aspetto relativo alla componente esterna internazionale della domanda, prima della creazione la nuova moneta unica, la possibilità di far oscillare il valore della propria moneta era, per il nostro Paese, l’elemento di Leva per l’incremento delle esportazioni e quindi di crescita della domanda esterna che portava all’incremento degli investimenti soprattutto nella piccola e media impresa. Oggi vediamo che traballano tutte e due le componenti di sviluppo del nostro Paese. Da un lato ci si pone con contrarietà alla realizzazione di grandi opere, vedi quello che sta succedendo in Piemonte, dall’altro lato siamo impossibilitati all’oscillazione di valore la nostra moneta e quindi o ci rimbocchiamo le maniche nella ricerca di competenze per le nuove soluzioni industriali oppure rimarremo indietro per sempre. Questo scenario, è uno scenario che condanna ancor di più il Sud, poiché è vittima di se stesso sia per la presenza massicce di organizzazioni malavitose che sostituiscono l’economia reale sia perché vi è da sempre una mancanza endemica di competenze e soprattutto di capitale. Gli anni dell’intervento straordinario nel mondo, tanto vituperati dalla sinistra forcaiola, hanno portato invece l’incremento economico che si è avuto dal dopoguerra ad oggi. Manco a farlo apposta, l’abolizione di questo intervento, con tutto il giustizialismo che ci ha portato alla Seconda Repubblica ha affievolito tali interventi cuscinetto e ha portato l’economia meridionale ad un’economia da mercato nero. Il non realizzare più le opere per effetto del giustizialismo post dipietrista ha sicuramente contribuito, pur di assicurare una legalità del procedimento amministrativo, con un forte rallentamento della realizzazione delle opere. Questo, senza peraltro creare un processo di effettiva responsabilità nei confronti di chi abusava al fine di sottrarre denaro pubblico. Si è arrivati quindi, per il nostro Mezzogiorno a non realizzare più le opere e cosa più grave a lasciare la gestione anche delle piccole e medie opere, agli enti pubblici territoriali. Incapaci per competenza, e soprattutto molto influenzabili dalle sirene che navigano le acque dell’illegalità. Una semplice equazione in cui si realizza che la mancanza di investimenti unita ad un sistema bancario molto pressato dalle stringenti regole europee può portare solamente all’emersione dell’economia sostitutiva vale a dire dell’economia che si crea nel mercato criminale e criminoso e i cui proventi vengono reinvestiti nel mercato ordinario o meglio legale. Come è possibile che questa gravità situazionale non si è capita da tutti noi che viviamo tutti i giorni questa quotidianità. Bisogna che il mondo della sbandierata legalità, senza ipocrisia, dichiari a chiare lettere quello che succede sul proprio territorio. Ebbene, per colpa della politica, noi siamo al Sud in una situazione di mercato nero, dove molti beni e servizi vengono erogati con il beneplacito delle organizzazioni malavitose. Si deve assolutamente quindi creare quell’organismo centralizzato, coordinato peraltro dalle prefetture per prevenire infiltrazioni camorristiche, che agevoli la velocità degli investimenti medi in modo da accrescere il valore economico delle nostre città meridionali. Perché solo con gli investimenti infrastrutturali anche quelli medi si riesce a creare il mercato competitivo. Se non si pone mano quindi alla nuova agenzia di sviluppo per il Mezzogiorno, che controlli le scelte di investimento come scelte utili, e che controlli anche l’andamento contrattuale di esecuzione dei lavori stessi, le difficoltà aumenteranno ed il valore pro capite del reddito diminuirà ancora e si compirà la perfetta economia da mercato nero.