Nella storia del sindacato metallurgico dell’Uruguay la figura di Rosario Pietraroia, figlio di un emigrato del Molise, occupa un posto speciale. Nato a Montevideo nel 1912, Pietraroia è stato un riconosciuto sindacalista e attivista politico finito alla ribalta internazionale tra gli anni settanta e ottanta quando fu imprigionato e torturato durante la dittatura militare. Suo padre, Giovanni Antonio Pietraroia, era nato a Cercepiccola, un paesino della provincia di Campobasso da cui partì nel 1906. Giovedì scorso un evento all’interno del sindacato Untmra (Unión Nacional de Trabajadores del Metal y Ramas Afines) ha ricordato l’attivista italouruguaiano con la presenza di Michele Pietraroia, venuto in rappresentanza della Cgil e dell’Anpi che hanno donato una targa commemorativa.

"Oggi siamo qui per ricordare il figlio di un emigrato italiano del Molise, una terra simile all’Uruguay, piccola ma con grande tenacia. Rosario Pietraroia ha dato un forte contributo per l’unità dei lavoratori metallurgici non solo nel suo paese ma anche a livello internazionale. Per tutta la sua vita ha lottato per i diritti delle persone più deboli battendosi, tra le altre cose, per l’approvazione di diverse leggi fondamentali che aiutarono a migliorare le condizioni dei lavoratori". Tra queste si ricordano le leggi sull’assistenza sanitaria, la previdenza sociale, l’assegno familiare, il salario minimo, l’indennità di disoccupazione e la sicurezza sul lavoro.

"Questa iniziativa" -ha spiegato Michele Pietraroia- "vuole essere un riconoscimento sia per quello che Rosario ci ha indicato con il suo coraggio, la sua generosità e la sua intelligenza per il passato ma riguarda anche un messaggio per il futuro con l’esempio di dire ai lavoratori di studiare, di formarsi, di prepararsi, di essere uniti e di lottare insieme sia sul piano sindacale che politico per la liberazione, i diritti e l’uguaglianza. Tutto questo è un qualcosa che valeva al suo tempo e vale ancora di più oggi in tempi di regressione e arretramento dei diritti".

Rosario Pietraroia fu arrestato nel gennaio del 1976 e rimase in carcere fino al 1984 subendo violenze e torture che lo resero cieco. Durante quel periodo venne eletto presidente onorario dell’International Union of Metal, ovvero rappresentante dei lavoratori metalmeccanici di tutto il mondo. "Quando venne incarcerato la Cgil e il suo Molise si unirono alla mobilitazione internazionale per chiedere la sua scarcerazione: ci furono azioni, manifestazioni, presidi, volantinaggi e attività che vennero portate anche all’attenzione del Parlamento italiano" ha ricordato il dirigente della Cgil. Con il ritorno della democrazia riprese il suo impegno a favore dei diritti dei lavoratori fino alla sua morte avvenuta il 26 maggio del 1997.

"Oggi questo piccolo paese del Molise è orgoglioso di avere avuto tra i suoi migranti una figura che si è saputa distinguere facendo delle azioni positive ed importanti portando avanti con orgoglio il nome dell’Italia e della sua regione". Oltre alla targa commemorativa presentata durante l’evento, Michele Pietraroia ha portato anche una lettera scritta dal segretario della Cgil Maurizio Landini che ha voluto rendere omaggio a questa figura storica che "ha dedicato la sua vita per i diritti dei lavoratori, per la democrazia e per la libertà". Landini ha sottolineato come "il suo contributo per unire i metalmeccanici fu determinante così come il suo impegno in periodi storici caratterizzati da profonde contrapposizioni sociali e politiche. Il suo ruolo di guida e di riferimento politico e sindacale assunse la dimensione nazionale per poi superarla, esponendolo alla violenta repressione del regime militare e golpista che si scatenò in Uruguay e negli altri paesi dell’America del Sud a partire dal golpe militare del 1973".

"Rosario" -prosegue nella sua lettera il segretario della Cgil riferendosi agli anni della prigionia- "venne nominato presidente onorario dell’International Union of Metal e furono molteplici le mobilitazioni promosse in tutto il mondo, e a cui aderì con convinzione anche la Cgil, per chiederne la liberazione per ragioni umanitarie e per il suo stato di salute. Grazie Rosario, figlio di italiani, cittadino uruguayano, sindacalista e compagno, siamo onorati di ricordarti e di prendere il testimone che ci hai lasciato per costruire una società democratica, fondata sul rispetto dei diritti umani, sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale".

Matteo Forciniti