Sulla Tav Torino-Lione è andato tutto secondo i piani. La missione del premier Giuseppe Conte prevedeva che non si giungesse a una pronuncia definitiva sull’opera, almeno non prima delle prossime elezioni europee. Obiettivo centrato senza particolare sforzo. Già, perché la soluzione adottata dal Governo italiano non è poi la genialata da azzeccagarbugli che raccontano i media nostrani. A fronte della scadenza inderogabile di lunedí, entro la quale il C.d.A. di Telt, la società italo-francese incaricata di gestire la realizzazione della tratta ferroviaria dell’Alta velocità Torino-Lione, avrebbe dovuto pubblicare i bandi per le gare d’appalto dei lavori pena la perdita di 300 milioni di euro del previsto finanziamento europeo, Giuseppe Conte si è limitato a dare un simbolico via-libera alla pubblicazione delle manifestazioni d’interesse da parte delle imprese a partecipare ai futuri (ipotetici) bandi di gara.

Non si tratta di un escamotage per scavallare l’impasse ma di una normale prassi procedurale ammessa dalle regole di assegnazione dei fondi europei. Il passaggio preliminare della presentazione delle candidature, in francese l’avis de marchés, ha uno scopo ricognitivo per misurare l’impatto sociale e di mercato dell’opera finanziata con i denari dell’Ue. Tale manifestazione di volontà dei privati non impegna in alcun modo il committente e neppure la fonte erogatrice del finanziamento a risarcire i promittenti partecipanti nel caso di sospensione o di revoca della procedura di gara. In realtà, la regolamentazione Ue è ancor più arcigna. Anche nel caso in cui sia specificamente richiesto ai soggetti imprenditoriali che rispondono ad avvisi pubblici di gara la presentazione di progettazioni esecutive, il lavoro professionale svolto a corredo della domanda di partecipazione non viene rimborsato dalla stazione appaltante nel caso di mancata prosecuzione della gara d’appalto. Tant’è che le imprese che ordinariamente concorrono ai bandi per progetti finanziati a valere sui fondi dell’Unione europea sono pienamente consapevoli di doversi accollare i costi di elaborazione delle proprie offerte.

Quindi, il premier Conte ha tolto la castagna dal fuoco ai suoi sponsor giallo-blu senza un particolare sforzo mentale ma rifacendosi alle consuetudini delle procedure europee in materia di bandi. In compenso, i due partner di Governo possono tornare alle loro abituali incombenze ritenendo archiviata, per il momento, la crisi da Tav. A beneficio dei rispettivi fans, i grillini e i leghisti l’hanno raccontata ciascuno a proprio modo. Per Luigi Di Maio, sarebbe stato un successone pentastellato bloccare la pubblicazione dei capitolati di gara, senza rischi di penali a carico dello Stato italiano; per Matteo Salvini, al contrario, l’opzione della richiesta preliminare delle manifestazioni d’interesse alle imprese private, peraltro solo per la costruzione della tratta francese dell’opera, è l’ennesimo tassello del processo di realizzazione del Tav. La soluzione a cui si è appellato il premier Conte è contenuta anche nel Diritto civile francese e si chiama “clausola di dissolvenza”. Si tratta di una norma del codice degli appalti in forza della quale una stazione appaltante può avviare l’iter dei bandi di gara riservandosi la facoltà di poter tornare indietro, entro sei mesi dalla pubblicazione, senza oneri o penalizzazioni per le decisioni ritrattate. Tuttavia, “dissolvenza” potrebbe essere anche la metafora della dinamica tra alleati di governo e tra loro e il Paese.

Grazie al suo effetto la crisi sul Tav è destinata a lasciare le prime pagine dei giornali e, soprattutto, a togliere acqua alle opposizioni che, per qualche giorno, hanno sguazzato nella polemica inveendo contro la maggioranza accusata di inadeguatezza a rispondere alle sfide della modernità. Da oggi gli avversari della maggioranza giallo-blu dovranno trovare altri argomenti per far sentire la propria voce. Il che, però, non significa che il nodo Tav sia risolto con il via-libera alle manifestazioni d’interesse. Il groviglio sul fare o meno l’opera resta intonso. Soltanto che l’aver comprato tempo rinviando la decisione defiitiva di qualche mese consente a entrambi i partner di governo di tastare il polso degli elettori per capire da quale parte spiri il vento più forte, se da quella dei No-Tav o invece dalla parte di coloro che il collegamento ferroviario veloce tra Torino e Lione lo vogliono a tutti i costi. Saranno già le urne del 26 maggio a fornire una preziosa indicazione di marcia. Perché, sebbene gli interessati porteranno altri argomenti in campagna elettorale, è di tutta evidenza che, nella domenica elettorale di maggio, gli italiani si recheranno alle urne con la questione irrisolta del Tav che gli fischierà nelle orecchie.

Dall’evolversi dell’intera vicenda si può trarre una conclusione che anticipa un giudizio più articolato sulla condizione dell’Italia: il ruvido confronto politico interno, a tratti aspro, è giocato tutto nel campo dell’odierna maggioranza. Le forze di sinistra e di centrodestra, che sulla carta dovrebbero fare opposizione, a stento riescono a toccare palla e quando lo fanno i risultati sono deludenti. Dalle fila del Partito Democratico e di Forza Italia, in questi giorni, ci si è intestarditi a scommettere sulla fine imminente del Governo e sulla riapertura dei giochi in vista della composizione di nuove maggioranze o, in alternativa, del voto anticipato a stretto giro. Illusioni ottiche decontestualizzate dalla realtà. Ma davvero qualcuno credeva che la maggioranza giallo-blu si sarebbe suicidata lanciandosi sui binari della Torino-Lione?

Cristofaro Sola