Sostituire la valvola aortica con tecnica mininvasiva (Tavi), per via percutanea, comporta pericoli minori rispetto alla chirurgia standard. E questo vale anche per i pazienti a basso rischio chirurgico, che a oggi non vengono trattati con questo sistema, riservato a coloro che sono ritenuti altrimenti inoperabili.

E' il risultato al quale sono giunti due studi pubblicati sul 'New England Journal of Medicine' e presentati al congresso dell'American College of Cardiology, in corso a New Orleans (Usa). Le due ricerche hanno incluso rispettivamente 1.000 (Partner 3) e 1.400 pazienti (Evolut Low Risk) a basso rischio con stenosi aortica. Nel primo, la tecnica Tavi è apparsa superiore alla chirurgia nel prevenire decesso, ictus o ri-ospedalizzazione a 1 anno.

La tecnica è anche associata a una minore incidenza di ictus e fibrillazione atriale e a una degenza ospedaliera più breve rispetto alla chirurgia. Nel secondo studio, a 24 mesi sono state prese in considerazione la mortalità per tutte le cause, e la percentuale di pazienti deceduti è apparsa equivalente nel gruppo sottoposto a chirurgia e a Tavi (4,5%).

Sulla base di queste "ricerche davvero molto importanti", dunque, evidenzia Francesco Romeo, direttore della cattedra di Cardiologia del policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione Onlus, pioniere di questa tecnica in Italia, "il destino della medicina è quello di dire 'addio' al bisturi per la sostituzione della valvola aortica".

"Si tratta di due grandi studi multicentrici, randomizzati che promuovono l'impianto valvolare aortico transcatetere (Tavi) anche per i pazienti giovani, quelli a basso rischio, ai quali finora non veniva offerta questa opzione. Queste ricerche potranno guidare una svolta nella pratica clinica. Abbiamo di fronte un sistema introdotto alcuni anni fa - ricorda il cardiologo - ma finora confinato ai pazienti con rischio chirurgico talmente alto, che altrimenti sarebbero inoperabili. Persone molto anziane, e dunque con fragilità intrinseche, oppure anche con comorbilità importanti. Questi pazienti vengono ormai trattati quasi sempre in sala emodinamica dai cardiologi. Per i pazienti a rischio intermedio - continua - viene fatta una valutazione caso per caso ed è ancora oggi leggermente preponderante la chirurgia".

Mentre "per i pazienti a basso rischio, fino a oggi la tecnica mininvasiva non veniva presa in considerazione, ma i risultati di questi nuovi studi sono destinati a cambiare la situazione. Si tratta di due lavori eseguiti proprio su pazienti a basso rischio, con dati a un anno che mostrano risultati migliori rispetto alla chirurgia classica. E' importante - ribadisce Romeo - soprattutto per i pazienti, perché una procedura non chirurgica, che evita la circolazione extracorporea, la sternotomia mediana e tutti gli inconvenienti di un'operazione a cuore aperto, consente di ridurre gli eventi avversi e i tempi di degenza".