I loro genitori e i loro nonni lasciarono l’Italia nel secolo scorso alla ricerca di un futuro migliore in Venezuela. Oggi i figli e i nipoti di quegli italiani sono tornati a partire a causa della grave crisi sociale e politica che sta attraversando il loro paese.

Alcuni effetti di questa crisi si possono vedere anche in Uruguay dove negli ultimi anni è cresciuto enormemente il numero di cittadini venezuelani favoriti anche da un politica migratoria di accoglienza che ne facilita l’arrivo.

Alcuni di questi venezuelani hanno origini italiane. A loro abbiamo chiesto di raccontarci la loro storia per capire qualcosa in più di questa nuova ondata migratoria di seconda e terza generazione legata a doppio filo al passato. Nonostante la forte differenza ideologica che li separa, i governi di Italia e Uruguay condividono stranamente la stessa posizione sull’argomento mantenendo una posizione neutrale e chiedendo allo stesso tempo libere elezioni come espresso dal cosiddetto gruppo di contatto di cui fanno parte.

David Castellucci appartiene alla terza generazione di una famiglia di migranti. Questa storia inizia in Italia, nei pressi del Lago di Garda. È da qui che il nonno paterno partì alla volta dell’Uruguay dove si stabilì ed ebbe cinque figli che, tanti anni dopo, decisero di partire per il Venezuela dove David arrivò che era poco più di un bambino. 4 anni fa lui ha deciso di ripetere la storia familiare partendo ancora una volta e ritornando in Uruguay: "La situazione si stava facendo sempre più difficile, un giorno il governo decise di espropriare il palazzo in cui avevo un’agenzia di viaggi. In una dittatura è così, non puoi scegliere cosa fare con la tua vita e le tue cose. Ogni commento è superfluo per descrivere la realtà che si sta vivendo, le cose sono peggiori di quello che si può immaginare. Io non avrei mai immaginato di lasciare il Venezuela ma non si poteva più vivere. Tutti i miei familiari sono andati via, resta solo mia sorella ma andrà via presto".

Sulla neutralità assunta da Italia e Uruguay, David parla amaramente di una posizione "politicamente corretta" perché, "indipendentemente dagli equilibri internazionali", quando "ci sono persone che muoiono di fame e sono a rischio i diritti fondamentali bisogna prendere una decisione forte e chiara".

Quarantenne, doppia nazionalità uruguaiana e venezuelana, lui non hai mai richiesto la cittadinanza italiana e dice di "non averne bisogno perché l’italianità è qualcosa di molto più profondo". Tra gli intervistati è l’unico ad aver rapporti con la collettività italiana, un fatto più unico che raro: collabora con il Circolo Italiano della Costa de Oro dove organizza già da due anni corsi relazionati all’arte e alla pittura, l’attività professionale a cui si dedica pienamente da quando è giunto ad Atlantida. "L’Uruguay" -spiega- "è un paese con le sue particolarità ma se uno lavora seriamente può raggiungere i suoi obiettivi".

Alfredo Civitico è un cinquantenne programmatore informatico che vive da oltre un anno in Uruguay. Suo padre è nato a Pola nell’epoca in cui l’Istria faceva parte dell’Italia. Nel 1936 la famiglia emigrò in Lombardia per poi spostarsi verso l’America: "Partirono nel 1950 senza una destinazione. Al porto c’erano due navi, una andava negli Stati Uniti e l’altra in Venezuela. Senza sapere niente scelsero la seconda opzione. Mio padre arrivò in Venezuela a 14 anni e iniziò a lavorare nel settore dell’arredamento. Fece una buona fortuna e grazie a questo oggi può vivere meglio rispetto al resto della popolazione".

Quando parla del Venezuela Alfredo è estremamente preciso e meticoloso. Racconta che negli ultimi vent’anni, con il chavismo al potere, "il paese è peggiorato sotto tutti gli aspetti". Sono diverse le ragioni che lo hanno spinto a partire tra cui l’insicurezza e la mancanza di crescita professionale: "Avevo un’azienda di informatica ma siamo rimasti senza clienti e abbiamo dovuto chiudere. Il Venezuela è un caos, è uno stato fallito con un regime criminale che ha fomentato una società divisa, polarizzata e sempre più violenta. Ad alcuni settori hanno inculcato la mentalità dell’assistenzialismo dove il lavoro e la formazione non sono ben visti. Non avevo scelta, la soluzione migliore per la mia famiglia era quella di partire: siamo venuti qui per restarci. Ero già venuto diverse volte in Uruguay e mi sono adattato molto bene".

In Venezuela sono rimasti i suoi genitori che attraversano le difficoltà comuni a tutti: "Mio padre è malato e ha bisogno di prendere delle medicine che inviamo noi da qui. Sfruttiamo ogni viaggio, tanto quelli che facciamo noi come quelli di amici, per poter inviare le medicine. Ammalarsi oggi è un rischio. La classe alta è fortunata e può risolvere il problema ricorrendo anche al mercato nero ma gli altri come fanno?". Pensando al caso di suo padre e degli altri migliaia di italo-venezuelani Alfredo mostra una grande delusione quando parla dell’atteggiamento neutrale assunto dal governo italiano: "Mio padre non riceve alcun beneficio dall’Italia. Non pretende niente ma si aspettava su questa cosa una condanna più dura al regime. La posizione dell’Uruguay si può capire per via degli accordi commerciali che intrattiene con il Venezuela ma, sinceramente, il comportamento dell’Italia facciamo fatica a capirlo".

Quella di Gina Spataro è un’emigrazione "accademica", una realtà abbastanza minoritaria. 23 anni, originaria della città di Merida, il nonno paterno è calabrese della provincia di Cosenza arrivato in Venezuela nel secondo dopoguerra dove vive tuttora. Nove mesi fa lei ha deciso di trasferirsi in Uruguay per studiare scienze politiche dato che "la qualità delle università venezuelane è notevolmente peggiorata. "Ieri partivano loro" dice ricordando la storia del nonno. "Oggi tocca a noi, nipoti di quegli italiani. Così è la vita". In possesso della cittadinanza italiana, lei è una dei pochi intervistati a essersi iscritta all’Aire a Montevideo.

In virtù della sua preparazione, fa un’analisi completa sulla situazione che sta vivendo il suo paese e individua diversi aspetti della crisi che vanno dalla politica all’economia, dal sociale al culturale: "Tra il 2002 e il 2012 la società era molto polarizzata nello scontro politico tra governo e opposizione. Oggi con Maduro c’è una realtà diversa e si sta consumando uno scontro tra governo e società. L’esecutivo ha fatto diversi brogli elettorali, manca dunque la legittimità".

Oltre ai fattori politici, considera molto gravi anche gli aspetti relativi alla proliferazione della violenza e all’instabilità economia che provoca "costi altissimi difficili da sostenere". Crede che "attraverso la crescente protesta interna e la pressione internazionale" si potrà arrivare a una soluzione anche se "è difficile che tutto ciò possa accadere pacificamente. Il chavismo è un potere molto articolato che può contare su un apparato statale imponente difficile da rovesciare. Viste le provate collusioni con il narcotraffico degli alti comandi dell’esercito, forse in futuro ci potrebbero essere richieste di estradizione negli Stati Uniti per crimini contro il traffico di droga".

Quando parla della posizione italiana sul caso venezuelano, ammette di sentire "un’enorme tristezza" che fa fatica ad accettare: "Come cittadini italiani vorremmo dal governo un forte appoggio e invece ci ritroviamo questo inspiegabile silenzio. Io credo che il problema sia nella mancanza di informazione dato che sui social circola qualsiasi cosa e bisogna stare attenti a ciò che si vede. Una cosa però è certa: in Venezuela oggi la gente soffre la fame".

Matteo Forciniti