La solitudine è una caratteristica che accomuna spesso la gente di mare. Ovunque è così ma in Uruguay questa regola sembra essere ancora più accentuata, ancora più forte. Sì perché una delle più grandi contraddizioni di questo paese è il rapporto quasi fastidioso che si ha con il pesce a dispetto della sua lunga e variegata costa distribuita praticamente lungo tutto il territorio tra costa Atlantica, río della Plata e tantissimi altri fiumi. Chi vive qui lo sa bene: una delle scene quotidiane a cui si assiste in tutte le pescherie è la loro tristezza cronica schiacciate dalla dittatura del carne che spopola in questo paese. Lo certificano anche i numeri della Fao: in Uruguay si consuma la metà del pesce rispetto alla media mondiale, 12,2 chili all’anno a persona contro 20,2 chili.

Per venire incontro ai crescenti problemi di salute della popolazione la soluzione è data dalle pillole di omega 3 come indicano magicamente le pubblicità che pullulano ovunque. Il pesce è ridotto quasi alla clandestinità. Parlando con una famiglia italiana di Montevideo troviamo conferma di questa macabra ricostruzione. Juan Scala è un emigrato originario dell’isola di Ponza arrivato in Uruguay poco più che adolescente nel secondo dopoguerra. Tra l’Italia e l’Uruguay ha passato praticamente tutta la vita in mare, portando avanti la tradizione familiare della pesca anche nel nuovo paese. Oggi ha novant’anni ma un problema di salute che gli impedisce di seguire la conversazione. Al suo fianco c’è la figlia Teresa che racconta la storia e l’esperienza di questa famiglia.

VIDEO:

"Mio padre è sempre stato in acqua e ci ha trasmesso questa passione anche a noi. Fin da bambino andava a pesca con i genitori e i nonni. Quando è arrivato in Uruguay ha iniziato a lavorare presso l’amministrazione del porto di Montevideo e dopo diversi anni ha deciso di dedicarsi completamente alla pesca aprendo un negozio al puertito del Buceo. Fino a cinque anni fa andava a pesca da solo con la sua barca”.

In Uruguay il settore della pesca sta attraversando una sanguinosa crisi come si evince dai dati ufficiali recentemente diffusi dalla Dinara, la Dirección Nacional de Recursos Acuáticos: nell’ultimo decennio si sono persi più della metà dei posti di lavoro che sono passati da 4.000 agli attuali 1.700. Diverse sono le aziende che hanno chiuso i battenti in questi ultimi anni dovuto agli alti costi, su tutte il caso più famoso è stato quello di Fripur. Altra incredibile contraddizione è data dal pesce importato le cui vendite vanno a gonfie vele per i prezzi allettanti verso i consumatori. Anziché sfruttare i prodotti locali, il pescato estero trova terreno fertile. Dalla famiglia Scala si limitano a confermare questo quadro estremamente negativo offrendo la loro visione e incolpando innanzitutto i costi.

Un riflesso, chiaramente, dell’alto costo della vita di questa nazione: "Il principale problema sono i prezzi alti. Un chilo di pesce costa tra i 300 e i 400 pesos, ma alla stessa cifra si può comprare la carne che ovviamente riempie di più”. Esistono però anche altri problemi come ci tengono a puntualizzare che vanno dagli aspetti culturali fino alle colpe interne per mancanza di solidarietà: "Questo è un paese estremamente carnivoro che vive con il mito della carne. Viste le sue caratteristiche in Uruguay il pesce dovrebbe essere estremamente popolare invece è esattamente il contrario. Manca proprio la cultura. Un altro aspetto che bisogna considerare è la mancanza della difesa corporativista del settore. Non c’è mai stata unione tra di noi, ognuno fa quel che può e sopravvive in modo solitario. Non a caso il sindacato della carne è molto forte. Qui ci sarebbe bisogno di una vera politica di salute pubblica che dovrebbe fomentare il consumo del pesce ma ciò non sarà mai tollerato dalla potente industria della carne”.

A complicare il panorama ci sono poi i ricorrenti allarmi ambientali, l’ultimo dei quali è scattato recentemente con l’invasione dei cianobatteri sulle spiagge. Nonostante gli appelli delle autorità sulla sicurezza per il consumo umano, nel mese scorso le vendite sono crollate della metà. "L’inquinamento ambientale è una grave minaccia” riconosce Teresa che offre la sua personale chiave di lettura: "Non sono un’esperta del tema ma sappiamo che i due impianti per la produzione di cellulosa creano seri danni all’ambiente. Inoltre, l’uso del glifosato nell’agricoltura ha delle pesanti conseguenze. Tutte le sostanza inquinanti finiscono sempre nell’acqua, capito???”.

Matteo Forciniti