Sono stati beatificati ieri in Argentina il vescovo de La Rioja Enrique Angel Angelelli (18 luglio 1923 – 4 agosto 1976), il frate minore conventuale Carlos de Dios Murias, il sacerdote francese Gabriel Longueville e il laico Wenceslao Pedernera, uccisi nel 1976, all’inizio della dittatura militare instauratasi nella patria di Papa Francesco (1976-1981). ‘Insieme a Carlos, Gabriel, Wenceslao, e a tanti altri, monsignor Angelelli cominciò una vasta e capillare opera di evangelizzazione, visitando i fedeli sparsi negli angoli più remoti della diocesi, catechizzando e predicando a tutti, senza distinzione di orientamento politico o stato sociale’, ricorda sull’Osservatore Romano Damian Patrascu, postulatore generale dell’ordine dei Frati minori conventuali. ‘Diede priorità però ai poveri, perché aveva capito bene che sono ‘coloro che capiscono meglio la Parola di Dio’ come afferma Papa Francesco ed esprimendosi spesso in questo senso con la ormai famosa frase: Un oído para escuchar la Palabra de Dios, un oído para escuchar al pueblo (‘Un orecchio per ascoltare la Parola di Dio, un orecchio per ascoltare il popolo’).

Però, come accade quasi sempre, la zizzania cominciò a inondare il seminato di questi uomini di Dio e a fare di tutto per soffocarlo, prima di produrre frutti per la salvezza eterna. Il regime militare del presidente Videla non poteva vedere di buon occhio questo vescovo, né i preti, i religiosi e i laici che ostacolavano il suo ‘processo di riorganizzazione nazionale’. Per questo iniziò una vastissima epurazione di coloro che considerava oppositori. Proprio in questo piano diabolico si inserisce la morte dei quattro. La sera del 18 luglio 1976, con un inganno, padre Gabriel e padre Carlos vennero prelevati e portati fuori Chamical. Qui, in un luogo impervio, i militari li torturarono ferocemente e li uccisero. I loro corpi furono ritrovati senza vita la mattina del giorno seguente. Dopo meno di una settimana, il 24 luglio, gli aguzzini si presentarono a casa di Wenceslao e gli spararono, dopo una breve discussione all’ingresso di casa. La morte lo colse dopo poche ore all’ospedale di Chilechito, non prima di aver espresso il suo perdono verso gli uccisori. Avendo avuto informazione di queste esecuzioni sommarie, il vescovo protestò presso le autorità senza però ricevere risposta. Infatti, queste erano occupate a preparare il modo migliore con cui eliminare anche lui, senza farlo apparire un crimine vero e proprio’.

Così, il 4 agosto 1976, mentre monsignor Angelelli si trovava alla guida dell’automobile, insieme a padre Arturo Pinto, di ritorno da una messa celebrata a Chamical in memoria di Murias e Longueville, ‘viene avvicinato da un veicolo con a bordo tre militari e la Fiat 125 sulla quale viaggiava viene fatta ribaltare. Le versioni ufficiali diranno che si è trattato di un incidente causato dallo stesso vescovo, il quale non era molto abile nel guidare. E questa rimase la versione ufficiale fino al 2014, quando fu ristabilita la verità: era avvenuto un omicidio vero e proprio, motivato dall’odio verso le scelte evangeliche per i poveri di monsignor Angelelli’. Per iniziare il processo di beatificazione, in particolare, si è dovuto attendere la condanna all’ergastolo dell’ex generale dell’esercito Luciano Benjamin Menendez, 86 anni, e dell’ex vice commodoro Luis Fernando Estrella, 82 anni, riconosciuti mandanti dell’omicidio da un tribunale civile argentino. Nella conclusione del processo è stata decisiva l’incorporazione di due documenti che il Papa personalmente inviò per essere presentati davanti al tribunale, una lettera che il vescovo aveva con sé al momento di essere assassinato, mandata in copia al Vaticano alcuni giorni prima.

‘Mancavano pochi giorni e credevamo che mancasse un documento che peraltro sapevamo che Angelelli aveva’, ha avuto a spiegare il vescovo di La Rioja¸che ha aperto la causa, monsignor Marcelo Colombo, oggi vescovo di Mendoza. ‘Quando morì stava tornando dal fare le indagini sulla morte degli altri tre. Nella macchina c’era una fodera, che sul momento è sparita, e poi è riapparsa sulla tavola di uno dei militari. Ma dalla fodera mancava qualcosa: una delle lettere che lui aveva mandato per altra via, tramite il generale dei francescani, alla segreteria di Stato. Io ho chiesto quella documentazione e, per intervento del Papa, la lettera è stata inviata’. Mons. Angelelli, ‘un vescovo del Concilio’, ha spiegato ancora mons. Colombo, ‘ha accompagnato i poveri con l’esperienza delle cooperative, i movimenti rurali dell’Azione cattolica (Joc), apparteneva a un gruppo di vescovi, sacerdoti e laici che si chiamava Coepal, commissione episcopale di pastorale, che lavorava nell’applicazione concreta del Vaticano II all’Argentina, e presiedeva la commissione di religiosità popolare. Era un pastore d’anime e traduceva in una vita sociale più giusta quello che insegnava il Vangelo. Ha cominciato come vescovo nell’agosto del 1968 e se uno legge la sua omelia di insediamento era una lettura guidata della Gaudium et spes, era un uomo che spingeva verso la comunione, con il Papa, con la Chiesa in Argentina, nella stessa diocesi. Purtroppo ha sofferto tanto le incomprensioni a La Rioja.

C’erano – spiega il vescovo Colombo – coloro che si sentivano sfidati a un modello di Chiesa diverso, ad esempio gruppi minacciosi come i Cruzados de la Fe, che usavano ideologicamente la religione, e arrivarono a cacciarlo da una città dell’interno dell’Argentina, Anillaco, dove era nato il presidente Menem, il 13 giugno del 1973, quando una folla di commercianti e proprietari terrieri, entrati a forza in chiesa durante la celebrazione della messa, cominciò a lanciare pietre contro Angelelli, a causa del suo sostegno ai minatori e ai lavoratori rurali, e lui non poté celebrare la messa patronale. Nei confronti dei Cruzados de la Fe, peraltro, Angelelli adottò l’interdetto canonico. Angelelli denunciò poi a voce aperta poi la tratta delle persone, il gioco di azzardo, che avevano nomi e cognomi. C’era pure un giornale, El Sol, che colpiva il vescovo tutti i giorni, lo chiamavano Satanelli, mutuando il nome da satana, invece di Angelelli. Il vescovo era un incubo per tanti padroni che avevano interessi economici. Più tardi ci furono i militari che lo osteggiavano perché lui denunciava episodi irregolari, suore interpellate per controllare i documenti, domandava notizie di persone che non uscivano di prigione.

Angelelli era un ostacolo per la ideologia della sicurezza nazionale, come la definì poi il documento di Puebla del 1979, che, ad esempio sotto i principi della rivoluzione dei militari, privilegiava un certo concetto di ordine e la subordinazione a esso di tutto il resto, una deificazione della sicurezza che assolutizzava lo Stato nei confronti della gente. Lui sottolineava il valore di ogni persona, prendendola dall’immagine dello stesso Cristo. Tra tutti questi diversi interessi ostili a Angelelli c’erano legami. Per questo è stato ammazzato. Si disse che quelli che lo hanno ammazzato sono cristiani, ma come si può fare una simile affermazione se hanno subordinato a una ideologia la loro fede?’. Nell’agosto del 2006 Jorge Mario Bergoglio ha celebrato una messa nel trentesimo anniversario della morte di mons. Angelelli, ricordando anche Carlos Murias, Gabriel Longueville e Wenceslao Pedernera. L’allora arcivescovo di Buenos Aires parlò del ‘dialogo tra il pastore e il suo popolo’ che vi era a La Rioja, dove egli si era recato all’epoca accompagnando il generale dei gesuiti Pedro Arrupe, ‘un dialogo che poi fu sempre più perseguitato, come la Chiesa tutta, che si è eretta sul sangue versato, che prese il nome di Wenceslao, Gabriel e Carlos, testimoni della fede che predicavano, che si sacrificarono per la Chiesa e per il popolo di Dio nell’opera di evangelizzazione e che, come il loro pastore, trovarono la morte’.

‘Il sangue dei martiri è seme di cristiani’, scriveva Tertulliano, ‘il sangue di questi uomini, che morirono per predicare il Vangelo – chiosò Bergoglio – è un autentico trionfo e reclama la vita, una vita di cui la Chiesa di La Rioja è depositaria’. Per questo, il ricordo di Wenceslao, Carlos, Gabriel e del vescovo Enrique ‘non è solo una rievocazione fine a se stessa, è una sfida che ci sprona a ispirarci al loro cammino di uomini che tennero conto solamente del Vangelo, accogliendolo con piena libertà. E’ così che dobbiamo essere, uomini e donne scevri da pregiudizi, da compromessi, da ambizioni, da ideologie, lasciarci pervadere dal Vangelo e solo da esso, al quale al massimo possiamo apporre una postilla: quella che aggiunsero Wenceslao, Carlos, Gabriel e il loro vescovo, con la testimonianza della loro vita’. L’8 giugno 2018 Papa Francesco ha riconosciuto il ‘martirio’ dei Servi di Dio Enrico Angelo Angelelli Carletti, Vescovo di La Rioja, Gabriele Giuseppe Ruggero Longueville, Sacerdote diocesano, Carlo di Dio Murias, Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, e Venceslao Pedernera, Laico e Padre di famiglia, ‘uccisi in odio alla Fede in Argentina nel 1976’. In rappresentanza del Papa, il rito di beatificazione è stato presieduto ieri a La Rioja, in Argentina, dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.