Crediamo che se si facesse un sondaggio per accertare quale sia, in politica, la parola più abusata, a prevalere sarebbe, e con largo margine di vantaggio sulle altre, la parola "fascismo" che, assai spesso, è usata, per dirla con una nota locuzione francese, "à tort et à travers", cioè a sproposito. In realtà, se per fascismo intendiamo "il movimento politico italiano fondato nel 1919 da Benito Mussolini, giunto al potere nel 1922 e rimasto al governo, in Italia, fino al 1943" (la definizione è tratta dall'Enciclopedia Treccani) dobbiamo concludere - senza che questo comporti alcun giudizio di merito - che con la massima parte dei fenomeni politici ai quali viene collegato, il fascismo non ha nulla o quasi nulla a che fare. Ci sembra, dunque, che esista molta faciloneria nel distribuire l'etichetta di fascismo e l'epiteto di fascista a tutto ciò cui si vuol dare un connotato negativo.

Non possiamo non citare, a questo riguardo, quanto ha affermato Emilio Gentile (non parente del filosofo), uno dei più accreditati studiosi del fascismo, autore, tra l'altro, di quella che è considerata la più esatta ricostruzione di quel che avvenne il 25 luglio del 1943. In una recente intervista e in un libro significativamente intitolato "chi è fascista", Gentile parla di "dilatazione semantica" del termine fascismo. E osserva che, dopo il 1945, sono stati definiti fascisti, a turno, Juan Peron in Argentina, la repubblica presidenziale di Charles De Gaulle in Francia, i regimi a partito unico del Terzo mondo, la dittatura dei colonnelli in Grecia, la presidenza Nixon, i regimi militari dell'America latina e persino le democrazie borghesi (i comunisti, dopo essere stati allontanati dal governo, nel 1947, giunsero a dare del fascista anche a Alcide De Gasperi), e gli stessi regimi comunisti. Già nel 1944, del resto, Benedetto Croce rilevava che la parola fascismo "nei modi in cui è adoperata rischia di diventare un semplice e generico detto di contumelia buono per ogni occorrenza se non si determina e non si tiene ben fermo il proprio suo significato storico e logico".

Se facciamo riferimento all'attuale situazione politica non solo italiana sia dal fronte politico, sia da quello massmediatico, si è ormai affermata la consuetudine di fare un uso distorto della parola fascismo. Come spiegare questo strano fenomeno per cui le parole fascismo e fascista vengono riferite a ideologie e personaggi che non hanno molto in comune? In Italia, ad esempio, è sempre più diffusa l'abitudine di equiparare il fascismo al populismo e al sovranismo e di dare del fascista a personaggi come Matteo Salvini. Ora il fascismo è cosa ben diversa, in alcuni casi addirittura antitetica sia al populismo sia al sovranismo, mentre Salvini non è un fascista, ma un personaggio gonfio di arroganza, un guappo di cartone che, a volte, assume i connotati di una macchietta.

Come spiegare queste equiparazioni? Il fatto è che parlare di un'ideologia fascista non è facile. Le idee fondanti del liberalismo, così come quelle del comunismo, sono chiare; assai meno chiare sono quelle del fascismo che hanno carattere autobiografico identificandosi totalmente con quelle del suo capo e fondatore. Così è stato possibile che alla parola fascismo, priva di precisi riferimenti ideologici, siano stati attribuiti i connotati più diversi e, a volte, addirittura contraddittori. Si tratta di una confusione lessicale che spesso determina strumentalizzazioni e non giova alla chiarezza del confronto politico.

OTTORINO GURGO