Nemmeno la Germania di Hitler escluse gli atleti neri dalla partecipazione ai Giochi. E quelli che fecero? Vinsero le Olimpiadi di Berlino, proprio sotto gli occhi del führer. Razzismo e giustificazioni a parte, comunque ingredienti di questa storia, sono qui molte delle ragioni per cui gli organizzatori della maratona triestina in programma il 5 maggio avevano deciso di non ammettere atleti africani allo loro corsa: perché vincono. Sempre. Il precedente meno citato ma forse più esplicativo, migliore delle Olimpiadi berlinesi o delle leggi americane di appena pochi decenni fa e persino dell’apartheid sudafricana, è un’anonima gara di un anno fa a Lucca. Allora la cosa fece meno scalpore ma anche lì, come a Trieste, gli organizzatori decisero di escludere gli atleti di colore spiegando, senza ricorrere ad improbabili provocazioni o denunce, che non li avevano invitati "perché vincono sempre loro. Senza africani la gara è diventata più attraente: sul podio sono finiti tre italiani con uno sprint emozionante per gli spettatori".

E poco importa che il tempo del vincitore italiano fosse di 9 minuti più alto di quello del keniano arrivato primo nell’edizione precedente. A Trieste, invece, gli organizzatori prima hanno giustificato l’esclusione degli atleti africani buttandola sullo sfruttamento degli atleti in questione. Atleti spesso sottopagati rispetto ai colleghi europei e anche niente affatto pagati da manager poco seri o del tutto truffaldini. E poi, una volta sollevato il polverone e incassata anche la mezza solidarietà del sottosegretario leghista alla Sport Giorgetti che ha parlato di "scafisti dello sport", hanno fatto marcia indietro e dichiarato che era tutta una provocazione. Per la serie ‘ma che ci avete creduto??? Era solo uno scherzo, anzi volevamo proprio sollevare il tema…’. Pezze peggiori del buco, come si dice in gergo.

Lo sfruttamento ovviamente non si combatte escludendo gli atleti sfruttati ma punendo i manager disonesti. L’anno scorso ad esempio proprio il vincitore di Trieste venne letteralmente abbandonato al suo destino dal procuratore, che non gli riconobbe nemmeno il rimborso spese. Invece di escludere lui e gli altri nati in Africa dalla gara più semplice sarebbe stato perseguire il suddetto procuratore. Ma no. E poi la provocazione, lo scherzo. Una giustificazione che solitamente non viene più presa per buona dopo i 6 anni ma che da Trieste hanno rilanciato. Certo, è poi innegabile che in questa storia c’entra anche il razzismo, ingrediente che potrebbe esserci e che sembra culturalmente sdoganato nel nostro Paese nell’ultimo periodo. Ma l’elemento principe, la molla dietro l’esclusione è un’altra ed è la forza, l’imbattibilità degli atleti di colore nelle discipline della corsa. Se corrono vincono. E allora meglio non farli correre. In fondo sarebbe stato meglio dirlo apertamente.

RICCARDO GALLI