Questa mattina ho visto in Tv dieci minuti di un’intervista a Salvini. Desolante. Anche se non ci si crede questo grande leader immagina davvero un’Italia chiusa nel cortiletto di casa propria, che mangia riso italiano, olio italiano, polenta e fagioli. Non so come pensi di sostituire gli iPad con i quali gira sempre e i telefonini (cose che purtroppo dobbiamo importare). Questo è un paese che vive di esportazioni.

Il commercio internazionale è la nostra vita, dovrebbe essere il nostro ambiente, meno barriere ci sono meglio è. Ma lui è per un mondo di muri, per la separazione. Non sa, perché non sa quasi niente, che il boom italiano si è verificato quando ci siamo aperti ai commerci internazionali. E è così ancora oggi. Quando l’Europa e il resto del mondo vanno bene, l’Italia ha uno sprazzo di vitalità. Quando la congiuntura internazionale rallenta, noi siamo i primi a cedere. E gli ultimi, poi, a riprenderci. Ma non c’è niente da fare. Non riesce a capire che il nostro benessere non sta nelle valli bergamasche, ma in Asia, in Africa, in America. Ma è anche inutile insistere.

Salvini ormai è stato radiografato: sta raccogliendo voti seminando paura, ma il primo che ha paura è lui. Di che cosa ha paura? Ma del mondo, degli altri. Anni fa Craxi aveva fatto un conto e aveva stimato che i milanesi davvero milanesi da più generazioni, su oltre un milione di abitanti, fossero al massimo 50 mila. La grande Milano, cioè, è stata fatta da non-milanesi, così come il miracolo economico era stato fatto da meridionali immigrati (e trattati malissimo, all’inizio). Ma Salvini ha paura di tutto ciò. Ha paura di un mondo che cambia. Lui lo vorrebbe fisso, immobile.

Il suo socio, De Maio, è forse ancora peggio. Pensa che con dosi crescenti di moralità si possa automaticamente fare la crescita. Ma sappiano tutti che non è vero. Tutti e due infatti parlano di qualsiasi cosa, ma mai di crescita. Salvini pensa che basti chiudere le frontiere per vederla spuntare, esattamente come accade con il sole. Di Maio pensa a stupidaggini ancora più grandi: vuole semplicemente eliminare la democrazia rappresentativa. E sogna una società in cui tutti stanno davanti al computer e decidono istante per istante che cosa bisogna fare, “uno vale uno”. Intanto, è capo politico di un movimento che non ha mai fatto un congresso e che non ne farà mai. Fa il reddito di cittadinanza, ma è tutto sbagliato: la gente, molta gente, rifiuta i suoi soldi gratis.

Cinque giorni prima delle elezioni annuncia che darà un miliardo di euro alle famiglie (il comandante Lauro sorride dai cieli…), ma viene fermato perché gli spiegano che quel miliardo non c’è, non c’è mai stato. Due immensi pasticcioni. Ormai in lite perenne (vera o finta che sia). Illiberali e con nessun senso del denaro. Spendono come se non ci fosse un domani. E, secondo me, stanno pensando a come svignarsela prima di scrivere la nuova legge di stabilità, per la quale bisognerà trovare non un miliardo, ma almeno 50. E, forse, stanno pensando di cavarsela vendendo l’oro della Banca d’Italia.

Non sanno che non si può e che sarebbe inutile. Nelle notti di luna piena sognano una Bce governata da uno come loro che stampi soldi su soldi, sufficienti a ripagare parte dei debiti italiani. Sono già caduti in un baratro da loro stessi creato, ma non l’hanno ancora capito. E continuano a spendere soldi nostri nella speranza di raccogliere ancora più voti. I due fanno a gara a chi affonda prima la finanza pubblica. Non esiste, con questa gente, alcuna possibilità di accordo su niente. L’unica cosa è liberarsene.

GIUSEPPE TURANI