Salvini comanda da premier. Convoca, lui ministro degli Interni, tutte le categorie produttive per discutere ed elaborare con loro la futura flat tax. Insomma si muove, agisce come ministro dell’economia e delle finanze. Annuncia che la Tav ora si fa e basta chiacchiere, quindi si comporta da ministro delle Infrastrutture. Mette tra le scadenze immediate del governo, ormai suo, le autonomie regionali. Quindi fa il ministro della Giustizia e delle Regioni. E riassume il tutto in un esplicito, secco e chiaro: "Gli italiani mi hanno dato un mandato".

Mi hanno dato un mandato: è una auto investitura a premier, a presidente del Consiglio. Sostenuta dal 34 per cento dei voti dell’elettorato. Salvini comanda da premier e da presidente del Consiglio di fatto con molta chiarezza pone l’Italia in contrasto duro con la Ue. Molto prima della legge di Bilancio 2020 e senza esitazioni e ondeggiamenti Salvini annuncia che il governo, ormai suo, dirà no e poi no e poi no alle indicazioni della Commissione Ue che sta a Bruxelles.

Con enfasi questa sì fuori misura e fuori realtà ("impoverimento senza precedenti nella storia"), raccontando una realtà che non c’è (la Ue che ha cambiato i connotati e diventa amica di chi si indebita), Salvini però espone quella che è la realtà italiana. Comanda lui e lui comanda di portare via flat tax il deficit 2019 verso il 4 per cento e il debito verso e oltre il 135 per cento. E lo fa mentre la Commissione sta per contestare all’Italia troppo debito nel 2018! Tradotto in stime: 40 miliardi per l’anno prossimo in cambiali varie, cambiali che secondo Salvini l’Italia farà ingoiare alla Ue.

Cambiali sotto forma di deficit e debito, il problema non è chi le ingoia ma chi le accetta in pagamento. Di questo Salvini si cura meno. Quel che è certo è che comanda da premier: alla lettera in arrivo da Bruxelles dovrebbero rispondere Conte e Tria, Salvini ha risposto per loro e per il governo tutto. Salvini comanda da premier: le autonomie, la flat tax, la Tav… Di Maio? Ha due scelte possibili: obbedire e restare al governo. Oppure lasciare e tentare l’avventura, ora tremenda per M5S, di elezioni politiche anticipate.

di LUCIO FERO