C’è qualcosa di nuovo nella mossa a sorpresa effettuata sul palco dal ministro dell’Interno, anzi d’antico. È nuovo lo "schema" della pratica: siamo alla ri-appropriazione politica di simboli della tradizione cristiana teorizzata dall’ideologo dell’ultra destra americana Steve Bannon. Nell’epoca di papa Francesco ma in polemica esplicita con il cristianesimo sociale e, per certi versi, modernista di papa Francesco. È antico il simbolo di cui ci si ri-appropria: il rosario alla Beata Vergine Maria, dopo la croce senza dubbio il "segno" del cattolicesimo, suo malgrado, più politicizzato della storia. Che rimanda a quella che senza dubbio è la preghiera, suo malgrado, più politicizzata della storia.

Quando si parla di cristianesimo, la dottrina Bannon - cattolico di origini irlandesi, a lungo a fianco del presidente degli Stati Uniti Donald Trump come capo stratega - è nota: «Non stiamo cercando di distruggere il Papa, ma di richiamarlo alle proprio responsabilità per parlare ai piccoli della terra piuttosto che agire come portavoce delle élite globaliste che, tra l’altro, non sono fan della fede cattolica». Un pensiero che guarda alla chiesa nazionalista e pre-conciliare che in Europa fa proseliti nella Nouvelle Vague sovranista: se Marine Le Pen, sabato sul palco di piazza Duomo accanto a Salvini, incontra gli esponenti più conservatori della chiesa di Francia, il primo ministro ungherese Victor Orban denuncia che "le chiese stanno morendo". Gesti e dichiarazioni agitate come vessilli.

E se negli Usa il presbiteriano Trump, in giro per l’Alabama, qualche mese fa ha autografato alcune copie della Bibbia, il nostro Salvini, a quanto pare reduce proprio da un incontro con Bannon, già due anni fa a Pontida si faceva immortalare mentre stringeva la t-shirt con il volto sbigottito di Bergoglio e la frase: «Il mio papa è Benedetto». Giustificando a parole poco dopo: "Ricordo le parole di Benedetto XVI alla giornata dei migranti 2012: ha detto che prima del diritto di emigrare va riaffermato il diritto a non migrare". Bibbie autografate e t-shirt papali potranno forse suonarvi kitsch. Diverso il discorso del rosario, oggetto sacro nei confronti del quale il leader leghista sembra avere una certa dimestichezza.

Ancora in un comizio a Milano, nel febbraio 2018, Salvini in piena campagna elettorale per le Politiche «giurò» da premier sul Vangelo con il rosario in mano: «Sarò fedele al mio popolo». A luglio del 2018, a Pontida, afferrò di nuovo la corona di Maria invocando la «liberazione dei popoli d’Europa». Ma l’utilizzo politico del rosario non è affatto fenomeno nuovo. Anzi: ai tempi della battaglia di Lepanto papa Pio V chiese a tutti i cristiani del mondo di frequentare questa preghiera nata nel Medioevo e diffusa da San Domenico, affinché la mano divina debellasse una volta e per tutte la minaccia dell’espansione turco-ottomana nel Mediterraneo. Correva l’anno 1571. Il 7 ottobre sarebbe arrivata la vittoria della flotta dell’alleanza cristiana, giorno in cui sarebbe stata festeggiata la Madonna del Rosario che non a caso è «Augusta Regina delle Vittorie», come nell’invocazione della Supplica scritta dal beato Bartolo Longo, il laico che trasformò Pompei, «questa valle di lacrime», nel centro mondiale del culto del rosario. Il suo motto? "La Vergine non ama la fede in lei senza le opere di carità".

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