Nonostante i suoi titoli lunghi come scioglilingua finiscano inevitabilmente decurtati in inglese, nonostante si dichiarasse negli anni ’70 “socialista e anarchica” (in un’epoca in cui se eri iscritto al partito comunista non avevi il visto per entrare negli States), l’America rende onore a Lina Wertmüller la regista dagli occhiali bianchi più celebre al mondo. L’Oscar alla carriera è in genere, a Hollywood, lo stratagemma utilizzato per risarcire grandi autori, come fu per Hitchcock e Welles, di una imbarazzante penuria di statuette legittime. Ma nel caso della regista italiana dal cognome svizzero, autrice di “Pasqualino settebellezze” (in inglese Seven Beauties), creatrice del cinema più colorito e anticonformista, gremito e tentacolare, urlato e carnale, il gesto appare ancor più strategico visto è stata la prima donna a ricevere una nomination alla regia.

E visto che l’Academy, come tutto il mondo del cinema, ancor più dopo la tempesta del #MeToo, si ritrova sempre di più con l’imbarazzo di gestire un maschilismo così pesante da essere impresentabile (una sola donna, per esempio, ha vinto la Palma d’Oro a Cannes in tutta la sua storia). Si tratta dunque di un oscar politico, ancor più significativo visto il femminismo selvaggio e melodrammatico dei suoi film? In realtà la fortuna della Wertmüller in America è ricca di chiaroscuri e per alcuni è stata solo una fiammata di paglia. La Warner cancellò un contratto di quattro film dopo l’insuccesso di “A night full of Rain” (La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte di pioggia) e a leggere attentamente la critica si scoprono pesanti distinguo: “Il film cerca in tutti modi di essere stupido: ma non è facile come sembra” scrisse Michael Wood sulla New York Reviews of Books di “Travolti da un insolito destino”, mentre David Thomson, nel suo celebre e autorevole dizionario, si chiede per quale ragione la Wertmüller debba essere più famosa di registe donne come la Varda o Chantal Ackerman.

La risposta per noi è molto semplice. Si tratta della più grande artista del grottesco, nel Paese che nel genere ha avuto due giganti come Gadda e Fellini (va ricordato che la Wertmülller era assistente sul set di “8 ½ ”). L’unica donna, quindi, non solo, a essersi fatta largo con humour, talento e inesauribile energia in un mondo, come quello dei set, in cui si respira solo testosterone nebulizzato, ma anche l’unica ad aver usato lo spirito e la facondia di Petronio Arbitro e Rabelais per farlo. Believe me.

Mario Sesti