“Non si prende per il culo lo Stato italiano. Non con me, non con questo governo”, tuonava l’altro giorno un veemente Luigi Di Maio all’indirizzo dei rappresentanti di Whirlpool convocati d’urgenza dopo l’annuncio che lo stabilimento di Napoli è in via di chiusura. Ha minacciato di riprendersi i milioni di incentivi subordinati agli investimenti, ha fatto la faccia feroce cercando di imitare il meglio possibile Salvini, s’è preso gli applausi del segretario Fiom locale orgoglioso elettore M5S.

Al di là del turpiloquio, che fa sempre notizia e chissà perché simpatia, quei pugni sembrano sbattuti su un tavolo virtuale, quello del Mise, appunto, un tavolo che accumula vertenze e conseguenti passerelle mediatiche. Senza risolverne una: l’elenco di chi “prende per il c….” lo Stato infatti si allunga al ritmo di un contagio. Il mondo reale, infatti, quello dove si forgia l’acciaio, si confezionano i dadi Knorr, si assemblano elettrodomestici, si prova a costruire droni di ultima generazione, delle parolacce e dei gesti truci di Di Maio si fa un baffo.

Il giorno dopo la sfuriata ecco che si presenta la cassa integrazione per 1400 operai della ex Ilva: a prendere per il c… gli indiani di ArcelorMittal. Parliamo dei 500 in cassa integrazione della Piaggio Aerospace, dei 650 di Alcoa, i 700 di Merloni, gli altri 700 di Termini Imerese, solo per dire delle quattro crisi che durano da più tempo. E il giorno dopo ancora ecco che sfuma la grande fusione Fca-Renault, di cui il Governo italiano era all’oscuro.

“L’esito dei negoziati tra Fca e Renault dimostra che quando la politica cerca di intervenire in procedure economiche non sempre fa bene, non mi esprimo ulteriormente”, ha detto una controfigura di Di Maio per sottolineare come il governo francese si sia messo di mezzo. Meglio che non si esprima ulteriormente, dovessimo cogliere mai la contraddizione.