L’emissione di titoli di Stato di piccolo taglio per saldare gli arretrati della Pubblica amministrazione era passata come un dettaglio quasi inosservato del programma politico della Lega, e a un anno di distanza sembrava una provocazione entrata di straforo in un atto poco rilevante come una mozione parlamentare. Invece, il tema è improvvisamente e prepotentemente tornato di attualità.

Il fatto è che i minibot nel più innocuo dei casi sono un modo per il governo di aggirare il problema del pagamento del debito, e nel peggiore un reale danno per gli italiani. Facciamo finta, per un attimo, di credere davvero che l’obiettivo sia quello di accelerare i pagamenti della PA. Fingiamo pure di ignorare che, rispetto ai picchi di alcuni anni fa, i tempi di pagamento pubblici si sono molto accorciati, e lo stock di arretrati è conseguentemente sceso, passando da oltre 90 miliardi di euro nel 2012 a circa 50 nel 2018, con un ritardo medio nei pagamenti che nel 2017 veniva stimato, in media, in otto giorni.

Ha senso, di fronte a dati tutto sommato incoraggianti, introdurre i minibot? L’idea di pagare i creditori con titoli di Stato di piccolo taglio è, anzitutto, ridicola, perché presuppone che le transazioni siano saldate con titoli cartacei: così, in generale, non è, in quanto i pagamenti della Pubblica amministrazione avvengono obbligatoriamente attraverso mezzi elettronici per tutte le somme superiori a 1.000 euro.

Secondariamente, non si capisce perché il titolo di Stato (che, come ha detto anche Mario Draghi, è una forma di debito finanziario) debba essere assegnato al creditore della PA, e non emesso secondo le consuete modalità per raccogliere sul mercato gli euro necessari a saldare i debiti commerciali. Già, perché? A veder corto, si potrebbe pensare che i minibot servano al Governo ad auto-ridursi il debito (con buona pace di chi li riceve in credito). Il pagamento attraverso i minibot (che non hanno per costruzione né scadenza né tasso di interesse) equivale a una forma di riduzione del debito: infatti, i fornitori che accettassero questo strumento perderebbero gli interessi di mora che, invece, oggi gli sono riconosciuti. A vedere un po’ più lungo, l’emissione di minibot è un primo passo verso l’adozione di una valuta parallela da utilizzare, all’occorrenza, per gestire l’uscita dall’euro.

Come ha detto Draghi, o i minibot sono debito, oppure sono moneta, e in quest’ultimo caso sono illegali (e, aggiungiamo noi, pericolosi). Se fossero interpretati alla stregua di una valuta parallela, i minibot si svaluterebbero rapidamente, col risultato paradossale di strangolare le piccole imprese bisognose di liquidità a favore di quelle finanziariamente più solide che, invece, potrebbero acquistarli a sconto e utilizzarli poi a valore facciale per pagare le tasse.

A rendere le cose ancora più complicate è il fatto che, se siano debito o moneta, dipende solo in parte dal "disegno" consapevole del Governo: in buona misura deriva dall’uso che ne faranno coloro che ne entreranno in possesso. Nel dubbio, sarebbe meglio astenersi da queste pericolose stregonerie e concentrarsi sui problemi del Paese: spesa, tasse, regolamentazione e credibilità. I minibot non solo non ne risolverebbero nessuno, ma probabilmente li andrebbero a esacerbare tutti.

REDAZIONE CENTRALE