Passano i tempi e cambiano le forme ma il prezioso metallo giallo era e rimane un, anzi il cosiddetto ‘bene rifugio’: un bene sicuro che anche quando tira una brutta aria sui mercati conserva il suo valore. Una volta si correva col piccone, oggi lo si acquista in Borsa, come stanno facendo un po’ tutti, privati ed istituzioni, ma la sostanza non cambia: tutti lo vogliono. Dai tempi degli antichi egizi e anche prima e a qualsiasi latitudine, dall’impero Maya a quello giapponese, l’oro è stato ed è sinonimo e simbolo di ricchezza. Una pietra dal colore unico e dalle proprietà particolari che lo hanno reso appetibile e ricercato in quasi tutte le culture. E la nostra, ovviamente, non fa eccezione.

A differenza di titoli e cartamoneta, l’oro ha poi una caratteristica che lo rende particolarmente appetibile e ricercato quando sui mercati finanziari si addensano nubi e la fiducia lascia il posto all’incertezza: ha un valore costante, intrinseco alla sua materia e per questo al sicuro dalle fluttuazioni degli emotivi mercati. Per questo in periodi di crisi, o quando si pensa che una crisi stia arrivando, ricomincia la corsa all’oro. Come è ricominciata negli ultimi mesi. Dire che sia colpa o merito dell’Italia renderebbe palese il provincialismo del nostro Paese e la nostra convinzione di contare molto più di quel che crediamo, ma anche le turbolenze della nostra economia e l’incertezza legata alla capacità del nostro Paese di ripagare il suo debito, una spinta in su al valore dell’oro l’hanno data.

A far la parte del leone, o meglio del lievito che ha fatto crescere le quotazioni dell’oro è però in primis la guerra commerciale tra Usa e Cina. Le due principali economie del pianeta che sulle sorti dello stesso incidono ben più di una flat tax o di una procedura d’infrazione. Senza dimenticare poi le tensioni in Medio Oriente con l’attacco alle petroliere nello stretto di Hormuz, quella via d’acqua dove passa quasi la metà del petrolio che muove le nostre economie. Così la settimana scorsa l’oro è arrivato a 1.359,50 dollari l’oncia, valore massimo degli ultimi 14 mesi, per poi ripiegare in serata verso 1.354,35, mettendo a segno un +13% rispetto ai 1.200 dollari dell’agosto 2018 ed oltre il 4% da inizio anno.

Il prezzo sale perché tanti lo comprano, è la legge elementare del mercato per cui, all’aumentare della richiesta aumenta il prezzo. Ma per far crescere così il valore non basta l’interesse dei piccoli risparmiatori, che tra l’altro dell’oro spesso non saprebbero neanche che farsene, ma serve l’azione dei cosiddetti investitori istituzionali. Fondi d’investimento e banche, comprese quelle centrali come quelle di Cina, Russia e Turchia in testa. Comprano perché non si fidano, e se non si fida la banca centrale cinese vuol dire che a non fidarsi è il governo di Pechino, come quello di Ankara e di Mosca. E salgono anche le quotazioni (e gli acquisti) del palladio, una specie di platino più ricercato.

Riccardo Galli