Quando Domenico guardó per l’ultima volta dall’alto del promontorio il mare di Tropea aveva sette anni, stava per compirne otto. Era nato il 7 aprile 1869: giá era vispo, giá curioso; cercava di cominciare a capire il mondo, anche se non ne era cosciente: aveva solo sette anni. Suo padre, Gaetano, era ciabattino o come si dice oggi "calzolaio"; sua madre Anna (che di cognome faceva Lorenzo), se ne stava a casa, dove di lavoro ce n’era parecchio con i suoi quattro figli. La fame del Sud come in tanti altri casi costrinse Gaetano ad emigrare verso una terra ignota - al di lá dell’Oceano, vicina all’Argentina -, perché lí viveva giá da qualche tempo un cugino. Ma non viveva nella capitale: viveva in un paesino dallo strano nome di Tacuarembó.

Fu cosí che nel 1877 - con 8 anni compiuti e con il suo dialetto come unica identitá che la sua terra gli consentí portarsi indietro - Domenico arrivó al porto di Montevideo e dopo tre giorni di viaggio in "carreta" mise piede nella sconosciuta Tacuarembó, con il padre, la madre e i fratelli. Il padre Gaetano nella nuova terra continuó a fare il ciabattino, mentre la madre aiutava nelle pulizie una famiglia di estancieros. Misteriosamente la nuova terra fu capace di far sparire l’antica fame del Meridione; e l’Uruguay offrí qualcosa di piú al figlio di Gaetano: sfamare la sua straordinaria e incipiente capacitá intellettuale; come successe poi con tanti altri emigranti dal "cervello fino". I compagni di scuola e i nuovi amici non lo chiamavano piú Domenico, per tutti era Domingo, Domingo Arena.

Cominció a lavorare in una farmacia, studiando e imparando dai libri che il suo padrone gli offriva. Leggeva con voracitá e alla fine dell’adolescenza i genitori furono in condizioni di inviarlo a studiare a Montevideo. Nella capitale studió allo stesso tempo presso la Facoltá di Medicina e quella di Diritto, laurendosi como farmaceutico e come avvocato. Cosa da non credere! Era il 1903: un amico gli offrí un lavoro nel quotidiano "El Día" e lí conobbe il grande statista che modernizzó l’Uruguay: Jose Batlle y Ordoñez. El "Pepe" Batlle (cosí lo chiamavano all’epoca) comprese subito il talento straordinario di Domingo e lo spinse col suo appoggio verso la carriera politica. Poi fece di lui il suo principale e piú influente assessore.

Nel 1904 inizió cosí la meteorica carriera di Domingo, affianco al suo protettore: ricoprí le cariche di deputato, senatore, Consigliere di Stato. Il ragazzino di Tropea ora incendiava con i suoi discorsi gli animi dei conterranei di tutte le nazionalitá che vivevano nella nuova Patria: non piú l’accento del suo paese, ma la voce ferma e intelligente di chi si sente chiamato a costruire una nuova realtá. Battle y Ordoñez fu presidente della Repubblica durante due periodi - 1903/1907 y 1911/1915- e non ci fu legge o decreto o discorso, che non esaminasse con l’amico Arena. La penna di entrambi intervenne sia nel testo della piú famosa delle leggi del lavoro uruguaiane - la legge delle 8 ore approvata giá nel 1915 -, sia in quello della Riforma Costituzionale del 1917, che diede una struttura politica moderna al paese. Promosse la legge del divorzio (rivoluzionaria per l’epoca) e si fece portavoce ante tempore dei diritti della donna, redigendo il progetto di legge sui "diritti civili della donna".

Sicuramente il Pepe Battle lo avrebbe voluto suo successore come Presidente della República, ma purtroppo la Costituzione impediva alle persone nate all’estero di accedere alla piú alta carica del paese. Fu anarchico tutta la vita e forse per tale motivo si solidificó l’anticlericalismo del Partido Colorado, a cui apparteneva. Fu un anarchico di sentimenti e di idee libertarie, ma capiva - cervello fino - che la democrazia era pur sempre la migliore via per consolidare i grandi cambi storici. Morí nel 1939 e si racconta che la cittá di Montevideo si paralizzó: almeno centomila persone parteciparono in uno dei piú grandi cortei funebri della storia del paese. Quanta italianitá in questo Uruguay, che tutti gli italiani emigrati hanno riconosciuto come una vera patria di adozione!

JUAN RASO