Manette manette. Lo aveva gridato e ripetuto ancora in questi lunghissimi 17 giorni il Ministro del Disordine. Lui e chi, in una rincorsa macabra e violenta, aveva chiesto di andare oltre, augurandosi perfino l’affondamento della Sea Watch3.  Le manette sono arrivate. Il mostro e il suo corpo sono stati esposti, a favor di telecamere alle prime luci dell’alba.

Le guerre hanno bisogno di prigionieri. E in questa guerra senza esclusione di colpi contro le Ong, Carola rappresenta uno scalpo necessario per dare fiato al coro cattivo e urlato degli odiatori seriali. Dopo 17 giorni infiniti questa giovane donna che non urla e non odia ha deciso che era arrivato il momento di concludere il salvataggio di quei migranti. Di condurli in porto perché è lì, in un porto sicuro e da nessuna altra parte, che un salvataggio o un caso SAR per dirla in modo più preciso si conclude.

A lei e a tutto l’equipaggio della Sea Watch va ancora di più il mio ringraziamento e il mio rispetto. La sua determinazione tranquilla è quella di chi guarda alle cose con semplicità. Senza inutili retoriche su l’eroismo. E se guardi a questa vicenda in modo semplice, senza il velo unto della propaganda, tutto si fa chiaro. A cominciare dalle questioni fondamentali. Come è possibile che il nostro Paese continui a chiedere e a lavorare attivamente affinché i migranti vengano ricondotti in Libia quando tutti sanno, compreso il Ministro degli Esteri che lo ha nuovamente ribadito che la Libia non ha porti sicuri?

Tutta questa vicenda come molte altre simili a questa nasce e si sviluppa in un quadro di illegalità di cui le nostre Istituzioni sono pienamente responsabili. E poi è semplicissimo vedere come trattenere decine di persone così a lungo in mare (mentre ogni giorno altro migranti sbarcano in quel porto e in altri del nostro Paese) sia irragionevole, oltre che immorale e cinico. Nella vicenda che si è conclusa con lo sbarco dei migranti e con l’arresto di Carola non c’è nulla di normale. Se non la scelta di chi come Sea Watch, Mediterranea, Open Arms e altre organizzazioni si organizza per salvare la vita di persone che altrimenti continuerebbero ad ingigantire quello che è già da tempo il più grande cimitero a cielo aperto del mondo. In questa vicenda non c’entra nulla la cosiddetta difesa dei confini.

E nemmeno l’assenza di un Europa che andrebbe misurata, più che sulla contabilità delle ricollocazioni, sulla assenza drammatica di una politica strutturale di fronte ad un fenomeno strutturale. Diviene chiaro che questa guerra vive e si nutre di un impressionante rovesciamento di senso, si cambia il significato delle parole. Se solidarietà diventa sinonimo di colpa, o di reato, allora i solidali divengono in un colpo criminali. I peggiori criminali. In 17 giorni il nostro Governo ha impiegato enormi risorse, uomini e mezzi per fare guerra a questi pericolosi criminali. È in questo quadro, assurdo e indecente, che dobbiamo leggere l’ultimo tassello di questa storia. Questa notte mentre la Sea Watch si dirigeva verso il porto una motovedetta della Guardia di Finanza ha prima intimato l’alt, per poi ormeggiare all’unica banchina disponibile per cercare di impedire l’attracco della nave.

Tutto è accaduto in pochi minuti, mentre la manovra era in corso. Ed è in quel momento che tra la Sea Watch (molto più grande) e la motovedetta c’è stato un contatto. La fiancata della nave ha stretto quella della motovedetta verso la banchina. Per fortuna nessuno, a cominciare dal personale della GdF si è fatto male. Io non sono un esperto di manovre portuali. Sono certo però che nessuno, e tantomeno Carola, ha deciso o anche solo pensato di speronare la motovedetta. Non so se ci siano stati errori di valutazione nella manovra in quel caso del tutto involontari. So però, che anche questa situazione si sarebbe potuta evitare. Bastava risolvere subito questa vicenda nel modo più semplice. Dando un porto sicuro, e magari dicendo grazie a chi salva vite, esercitando un ruolo di supplenza nei confronti di quelle istituzioni, italiane ed Europee, che hanno smesso di farlo. Salvini dice di provare pena per me e per i parlamentari che erano a bordo.

Non si preoccupi. Io stanotte dormirò tranquillo perché ho fatto ciò che ritenevo giusto e necessario. E domattina mi sveglierò pensando al fatto che non dobbiamo permettere che su questa vicenda cali l’attenzione. Alle 5,30 del mattino si è conclusa felicemente la vicenda dei naufraghi salvato dalla Sea Wacht3, ora dobbiamo batterci e sperare che si chiuda felicemente la vicenda di chi ha fatto sì che quelle donne e quegli uomini non morissero in mare.

NICOLA FRATOIANNI