Secondo le solite rilevazioni statistiche dei soliti "sondaggi di opinioni", nove italiani su dieci detestano la politica e la respingono come cosa detestabile. Quello che nessuna pretesa di "percentualizzare" il mondo potrà mai darci è il perché di questo così basso gradimento. Cioè nove italiani su dieci vi diranno che ciò dipende dal fatto che la politica è sporca, corrotta, cattiva e, magari, inutile. Un modo come un altro di evadere il problema. Quello che pochi sembrano persino voler ipotizzare è che la politica, quella con la P maiuscola, è divenuta troppo "difficile" per il cittadino medio, per l’elettore. Gran parte di ciò che i cittadini possono leggere sui giornali ed ascoltare avanti al televisore va a far parte di un immaginario approssimativo, tanto più vago quanto più specifici sono gli argomenti di cui si sente discutere.

È questa della incomprensione della politica dei grandi e meno grandi problemi della convivenza civile che viene fuori il più grande e vero problema. Il più grande e vero problema delle democrazie. È quello che ne costituisce il più grave pericolo. La "democrazia", il potere del Popolo di governare se stesso è, prima di tutto, un grande problema di conoscenza e di comprensione di quelli che sono i problemi oggettivi che tale governo comporta. Quando l’incomprensione, le false opinioni, l’ignoranza e, soprattutto, la pretesa di una inesistente conoscenza, la supponenza di fronte ai sempre più complessi problemi supera un certo limite, la democrazia entra in una crisi irreversibile. È la sua fine. Un regime totalitario è alle porte.

Può questa sembrare una previsione di inevitabile sciagura: l’ineluttabilità della fine della democrazia e delle libere istituzioni. In realtà la prospettiva non è così tragica. La necessità di capire i problemi della vita pubblica, infatti, non è e non è mai stato e non potrà mai essere il problema di una conoscenza diretta e particolareggiata dello scibile umano, dell’economia, dell’igiene, della strategia, dei rapporti internazionali. Si può anzi affermare che è proprio la pretesa di conoscere i particolari, di avere in tasca le soluzioni dei più minuziosi problemi della convivenza delle comunità nazionali (o regionali, comunali, etc.) che è e rappresenta la vera ignoranza.

C’è una questione ineludibile che condiziona la possibilità, la vita e la morte delle Democrazie: quella della rappresentanza del Popolo. La pretesa di una "democrazia diretta", come sistema generalizzato è questa, infatti, l’anticamera di ogni regime autoritario. Voler fare a meno di una classe politica capace di fedelmente ed abilmente rappresentare e risolvere i più veri e difficili problemi del popolo è la chiave della rovina di ogni vero, stabile, corretto sistema liberale e democratico. E qui veniamo a punto dolente, alla vera ragione della disastrosa situazione in cui versa il nostro Paese. Il problema dei partiti in cui si divida, al caso, la pubblica opinione, della loro struttura (che non può essere la "proprietà" di un "generoso" finanziatore, tanto per capirci). L’equilibrio tra l’organizzazione e la funzione rappresentativa delle dirigenze dei partiti e le libertà ed i diritti dei singoli cittadini è il problema fondamentale. Un sistema "partitocratico", giustamente deprecato che cristallizzi la funzione, il ruolo ed il peso dei partiti è una rappresentatività fasulla ed aggressiva. Un sistema dei partiti stabili, la cui fiducia sia espressa anche da una certa tradizione è, invece essenziale.

La nostra terribile crisi politica è conseguente alla fine traumatica, improvvisa e totale dei partiti della Prima Repubblica, cui ha fatto seguito il susseguirsi di sigle elettorali senza storia e senza significato e senza valore di uomini che ne esprimano e realizzino idee, necessità, propositi. La classe politica che ha questo compito della "rappresentanza" di tutto il Popolo, non può e non deve essere "inamovibile" ma non può neppure essere in perpetuo rinnovamento. L’idea di limitare, ad esempio, il numero dei mandati parlamentari che possano conseguirsi è una delle più sciocche e deleterie, un pilastro di quel "populismo" che della Democrazia è la caricatura. Tutto questo non è una scoperta ed è solo il dar valore ad una "conoscenza" necessariamente in gran parte indiretta dei problemi della vita pubblica, senza la quale la democrazia è addirittura impensabile. E si vede. Meditare un attimo su queste verità non sarebbe tempo sprecato. Né tale raccomandazione andrebbe fatta solo agli ignoranti. C’è l’ignoranza dei quasi sapienti che è, oltre che poco simpatica, ancor più pericolosa. E c’è una virtù assai rara: è l’umiltà di fronte al conoscibile, senza la quale restiamo tutti gravemente e pericolosamente ignoranti.

MAURO MELLINI