Chi di resa ferisce, di resa perisce… E’ il contrappasso toccato in sorte al Movimento 5 Stelle sulla Tav. Movimento passato dall’arrendetevi, l’opera non si farà, all’arrendiamoci, la Torino-Lione si fa. E si farà esattamente per quegli stessi motivi che i grillini, in campagna elettorale e al governo, avevo bollato come inesistenti, penali in testa. E poi perché, per non farla, come ha sottolineato il premier Giuseppe Conte, bisognerebbe passare dal Parlamento, dove i grillini sono gli unici per il no, cioè minoranza.

E’ dannosa, inutile, costosa e recedere dai contratti non costerà quanto dice il Pd. Era questa, in sintesi, la posizione dei pentastellati sulla Tav. Una posizione rivendicata e venduta come reale in campagna elettorale e rilanciata anche una volta arrivati al Governo, ministro Toninelli in testa. Ma dopo anni passati a raccontare che così stanno le cose è arrivato, ora, il premier, il presidente del Consiglio votato e sostenuto proprio dai 5Stelle che li ha, semplicemente, sbugiardati.

E a loro, ai grillini, non resta che la resa. O la rotta. Dannosa, forse. Il premier sul punto non è entrato e anzi ha cercato di rendere in un certo senso l’onore delle armi al partito di Luigi Di Maio, suo vicepremier, riconoscendo di aver avuto perplessità sull’utilità dell’opera che, in passato, aveva definito "un progetto infrastrutturale di cui l’Italia non ha bisogno". Non ne avremo forse bisogno ma che sia costosa, con buona pace dei suoi detrattori, è falso. Falso perché la Commissione europea ha dato la sua disponibilità ad aumentare del 15% i finanziamenti per la parte internazionale e a coprire così il 55% anziché il 40% del costo (come era stato stabilito in un primo momento). E poi, le famigerate penali, inesistenti o più basse di quanto raccontato secondo lo storytelling grillino, oggi si chiama così ma, nei dizionari, la definizione la si trova sotto il termine ‘propaganda’. Le penali invece ci sono, eccome.

"La decisione di non realizzare l’opera – ha spiegato Conte nel suo messaggio Facebook in cui annunciava il fatidico ‘si fa’ – non comporterebbe solo la perdita dei finanziamenti, ma anche tutti i costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia". Le famigerate penali. Avanti dunque con tunnel e treni anche perché solo il Parlamento potrebbe dire no, fermiamoci. "Questa è la decisione del governo, ferma restando la sovranità del parlamento" ha chiosato Conte suscitando le speranze, illogiche, di qualche grillino. Illogiche perché, se mai si portasse la questione davanti a deputati e senatori i grillini potrebbero contare sui voti loro e di nessun altro. Sono infatti gli unici ad essere per il ‘no’, mosche bianche in un Parlamento a larghissima maggioranza per il sì. Cosa che, al netto dei racconti faziosi, racconta di un Paese a sua volta in larga maggioranza per il sì.

Arrendersi dunque. Arrendersi perché il premier, il Parlamento e il Paese sono per il sì. Arrendersi perché la Tav costa meno farla che non e perché, se mai venisse a qualcuno l’idea di tornare al voto, stando ai sondaggi, nel prossimo Parlamento ci sarebbero molti meno grillini e quindi molti meno voti per il ‘no’. Non resta che questo, arrendersi, al Movimento5Stelle sulla partita della Tav. A meno di non voler seguire l’esempio del senatore Alberto Airola, da sempre contrario alla Torino-Lione e che, se l’opera non si fosse fermata, aveva promesso le dimissioni.

Intervistato dal Corriere della Sera sul punto ha spiegato: "Avevo promesso che mi sarei dimesso se la Tav fosse passata. Non era un ricatto, l’avevo detto d’impeto…". E dunque si dimetterà? "Dipende, valuterò nei prossimi giorni". Da che cosa dipenderà? "Qualcuno mi ha fatto notare che se mi dimettessi ora non conterei più nulla, invece bisogna restare in Parlamento per continuare a osteggiare quest’opera inutile e dannosa. E, in fondo, penso pure un’altra cosa…". Che cosa? "A dimettersi dovrebbero essere tutti gli altri 5 Stelle, non io che sono rimasto coerente".

di RICCARDO GALLI