L’aria è irrespirabile, mefitica, anche se albeggia. È un'afosa giornata di fine luglio. Il vecchio scruta con occhi inquisitori la macchia di arbusti che sorge dalla bruma mattutina come ectoplasma di un'antica ninfa, il silenzio è sacrale, interrotto dai richiami di qualche fòlaga. È al centro del lago, eretto, nonostante l'età venerabile, al timone di una paranza malandata, mentre governa senza vele, senza un alito di vento, senza meta. Ha goduto tempi migliori. Il suo nome per millenni è stato rispettato e tutti coloro che ha incontrato, hanno pagato il giusto prezzo, 2 monete, di qualsiasi metallo, secondo censo plebeo o nobile.

Pescatore d'anime, mangiava poco per rimanere lucido. In migliaia d'anni, raramente era stato imbrogliato da anime vive, traghettate solo perchè "speciali", protette dagli dei o adepti della sibilla cumana. La nascita di una nuova religione, con fedeli ingenui, limitati dall'adorazione monoteista, lo pensionò dal servizio attivo, ma rimase immortale. Divenne un povero diavolo canuto, con occhi infuocati, grazie ad un poeta scriteriato, un certo Dante, che scrivendo degli Inferi, gli fece proferire terribili parole: "guai a voi, anime prave!". Un gesto della mano ossuta sventola i ricordi, ricomincia a scrutare, tenta di raggiungere la riva. Aurora illumina il giorno, il vecchio nocchiero scorge sembianze umane che agitano le braccia, per attirare la sua attenzione. Un improvviso rèfolo di vento spinge la barca. Riconosce due anime onuste d'anni dai tratti antropomorfi familiari, della "magna graecia", che strano! Non traghetta da tempo immemorabile anime all'Averno, perciò rimane sorpreso e medita l'inatteso compenso.

"Chi siete, cosa vi porta alle soglie degli Inferi, avete le monete?". Uno dei due, il più vecchio, malandato e cieco, estrae delle banconote. Il nocchiero si ritrae inorridito "Cosa mi combini? Pretendo monete sonanti, d'oro o argento. Non accetto cartaccia, marcirebbe all'istante!". L'altro si blocca, si appoggia al compagno di viaggio: "Parlaci tu. Sembra la storia della mia vita, ognuno mi chiede qualcosa che non posso dare, convinto della mia infallibilità. Sono a casa". Il secondo, più a suo agio, si fa avanti in maniera elegante, prova a mediare. "Senta, caro amico, sono uno studioso, un professore di filosofia greca, so anche di matematica, vengo da Neapolis, sono un discendente della ninfa Partenope. Si dà il caso che ho con me alcune dracme, donatemi ad Atene. Il mio nome è Luciano, maestro e amante della vita, non uno stoico, cultore mondiale della grande mitologia antica. Non ci faccia caso se la osservo in tràlice, soffro di prosopoagnosìa, ho difficoltà a riconoscere le persone".

"Per Giove, mica vuoi insegnarmi il greco?". "Mi scusi. Il mio amico si chiama Andrea, un siceliota discendente da Empedocle, il filosofo. È un cantore di gesta, un aedo, infatti è cieco". "Che ci fate qui alle porte d'Averno? Perché non siete dall'altra parte del cielo, quello del Dio dei cristiani?". Andrea capì che era il tempo della verità. "Il mio amico Luciano, come ha detto, non è uno stoico, è un epicureo. Io, discendente di Empedocle, dovrei raggiungere la felicità congiungendomi ai miei dei... ma, per un arcano motivo, sono anche Tiresia l'indovino e torno all'Ade: è una lunga storia! Preferiamo perciò che ci traghetti agli Inferi, perché non andremmo in paradiso nell'altra metà del cielo e la compagnia assegnataci non è di nostro gradimento".

"Siamo considerati peccatori di pensiero e di parole", aggiunge Luciano, "ma rifiutiamo l'inferno con assassini, stupratori, grassatori. Qui incontreremo Socrate, Aristotele, il mio amico Andrea tornerà Tiresia e potrebbe predirmi un futuro migliore per la mia Napoli". Il lago s'illumina del miraggio morgana. È l'ultima luce prima dell'oscurità degl'Inferi. Caronte, è il nome del vecchio pescatore, intasca le sue 4 dracme e veleggia verso l'Ade. Le anime di Andrea e Luciano si affidano leggere e diafane al dondolìo dell'onda, in pace. Uno sorride pensando alle "poppe" di Tiresia, l'altro si domanda se incontrerà Elena di Troia, Nausicaa o quel gran figlio di... Nessuno. Entrambi sanno di essere già nel mito.

ANONIMO NAPOLETANO