Standard & Poor’s ha paventato per l’Italia il rischio di finire come la Grecia, quando quest’ultima, nel 2015, si trovò nella drammatica condizione di dover accettare un durissimo piano di austerità imposto dall’Unione europea. E sebbene la stessa agenzia di rating sottolinei nel suo rapporto che la nostra economia sia molto più ricca di quella greca, nondimeno si evidenzia una analoga rigidità sul piano del mercato del lavoro e del tessuto produttivo nel suo complesso. Rigidità la quale, unita alla crescente sfiducia che sta accompagnando l’attuale fase politica, frena fortemente gli investimenti, con un impatto negativo sul Prodotto interno lordo.

Inoltre S&P, in merito alle prossime, decisive scelte in tema di finanza pubblica, mette in guardia l’Italia dal pericolo di un Governo che decida di adottare opzioni, per così dire, poco ortodosse, come l’introduzione di una valuta parallela o l’adozione di misure di bilancio prive di coperture adeguate. Nel qual caso, scoprendo l’acqua calda per noi che lo sosteniamo da quando si è formato l’Esecutivo giallo-verde, l’agenzia statunitense immagina un prevedibile quanto devastante attacco speculativo ai danni del nostro colossale debito sovrano. Anche perché, occorre doverosamente aggiungere, un sistema economico praticamente inchiodato, con la prospettiva di chiudere l’anno in negativo, e che dal 2010 ha registrato una crescita reale dell’0,6 per cento - contro il 10,6 per cento dell’intera area dell’euro - non sembra offrire ai mercati, cioè a chi ci presta i quattrini, adeguate garanzie di continuare a pagare indefinitivamente gli interessi che gravano su debito medesimo.

Ma questo sinistro addensarsi di fosche nubi sul Paese non sembra minimamente intaccare il surreale dibattito, stile chiacchiere e distintivi, che contraddistingue i due soci/serpenti al potere, i quali continuano a rilanciare la posta delle loro irrealizzabili ricette economiche. E se la Lega di Matteo Salvini insiste sul taglio delle imposte dirette attraverso la flat tax, risponde il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio con un fantasmagorico abbattimento del cuneo fiscale e contributivo a vantaggio delle imprese, onde consentire a queste ultime di finanziarci l’altrettanto fantasmagorico salario minimo. Ovviamente in ambedue i casi trattasi di propaganda allo stato puro, visto che solo per far quadrare i conti per il prossimo anno senza aumentare l’Iva, più alcune altre spesucce da ripianare, occorreranno svariate decine di miliardi di euro.

Immaginare al contrario di bloccare tale aumento, realizzando in aggiunta, in tutto o in parte, i progetti dei due dioscuri al comando, allarmerebbe a tal punto i mercati da portare i nostri tassi d’interesse alle stelle. E ciò, elemento da tenere sempre ben presente, renderebbe proibitivi i costi per finanziare l’economia italiana. Pertanto, chiacchiere a parte, con l’arrivo dell’autunno, che ci porterà in "dono" la seconda Legge di Bilancio del cambiamento, i nodi del cosiddetto vincolo di realtà arriveranno al pettine. Il resto, come già detto, sono solo chiacchiere e distintivi.

CLAUDIO ROMITI