Nell’enigma che un possibile nuovo Governo dovrà sciogliere tra continuità e discontinuità, un tema di fondo sul quale l’esecutivo dovrà necessariamente marcare una svolta rispetto alla "Politica" dell’ultimo ventennio, prima ancora che alle politiche del governo uscente, è quello del Mezzogiorno. Proporre una nuova lettura del Sud, con un’idea di Paese non più divisiva ma unitaria sulla quale fondare le politiche per la crescita. Da troppi anni la politica nazionale, senza particolari distinzioni tra schieramenti, ci ha abituati a una narrazione di economia e società nazionali sommatorie geografiche di due parti con problemi diversi e, perciò, alla ricerca di soluzioni distinte. Non era così. Nord e Sud erano più uniti, coesi e interdipendenti di come volevano le soluzioni "per parti" per loro attuate.

Ma la politica nazionale, inconsapevole dei benefici estraibili dalla valorizzazione delle interconnessioni tra Nord e Sud, ha finito per spezzare quella coesione, alimentando opposte rivendicazioni territoriali. È cresciuto il malcontento del Nord produttivo vittima dell’oppressione fiscale e burocratica. La stessa peraltro (se non maggiore) che schiaccia i ceti produttivi meridionali. Mentre nel Sud l’impoverimento della società conseguente alla crisi insieme al progressivo peggioramento nell’offerta dei servizi pubblici essenziali (scuola, sanità e servizi sociali) ha alimentato una legittima richiesta di assistenza, spesso cavalcata da classi dirigenti sempre più deboli, riaccendendo la fiamma del rivendicazionismo sudista. Si è arrivati così alla contrapposizione tra Nord produttivo e Sud assistito - la Tav al Nord e il reddito di cittadinanza al Sud - che ha ipnotizzato non solo il precedente governo ma l’intero dibattito politico sino a oggi.

La stessa linea che ha portato i grandi partiti nazionali a concedere, in cambio del lavoro sporco della ricerca del consenso, la delega in bianco ai cacicchi territoriali, giungendo a un regionalismo meridionale, esasperato e fallimentare. Nonostante la crisi, oggi, il Sud è ancora parte integrante del sistema produttivo e sociale del Paese nelle sue aree più vitali; quelle più capaci di attivare le "risorse endogene" che una politica nazionale spuntata e senza visione invita a "mobilitare" da decenni. Quelle risorse, da sole, evidentemente non bastano. Perché, allo stesso tempo, il Sud è la punta dell’iceberg delle disuguaglianze e dei ritardi che attraversano tutto il paese. Per favorire la crescita senza lasciare indietro gli ultimi, al Nord e al Sud, l’azione di governo nel suo complesso andrebbe ispirata a una visione unitaria del Paese. La politica nazionale dovrebbe farsi camera di compensazione delle pulsioni rivendicazioniste che da Nord e Sud sono cresciute in questi anni.

Nella visione "nazionale" della questione meridionale si può trovare il punto di incontro tra i due "duellanti" della negoziazione ancora in corso per la formazione del nuovo governo. A partire da una riqualificazione dell’azione dello Stato volta a rafforzare i diritti di cittadinanza nei territori più deboli. Costruire una nuova politica di coesione vuol dire uscire dal ghetto degli "stanziamenti straordinari per il Sud", che tra l’altro quasi mai si traducono in spesa effettiva, per ricostruire un nuovo patto di cittadinanza tra politica e cittadini basato su impegni precisi e obiettivi misurabili di miglioramento dei servizi essenziali. La scuola in primo luogo, con interventi e risorse aggiuntive laddove più alto è l’abbandono scolastico e più bassi i livelli di competenze degli studenti; ma anche nel sistema sanitario, per ridurre l’emigrazione ospedaliera, e nel sistema di assistenza ai bambini e agli anziani, anche qui con un piano nazionale di supporto ai Comuni con livelli inadeguati di servizi. E accanto a questo, un nuovo "Stato strategico e innovatore" per l’incremento della dotazione di infrastrutture economiche, ambientali e sociali, del capitale umano e dell’innovazione per le imprese.

Non ci si può accontentare del solito richiamo alla necessità di rilanciare il Sud con un generico piano di investimenti, magari per compensarlo in vista della concessione dell’autonomia rafforzata a Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Sarebbe un film già visto tante volte, dal Piano per il Sud di Berlusconi al Masterplan di Renzi, fino ai patti per il Sud. Per fronteggiare lo spettro della recessione, occorre una nuova visione del rapporto Nord-Sud e delle politiche di sviluppo, insieme a un’attuazione ordinata del federalismo fiscale da attuare con le garanzie dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in tutte le Regioni italiane, sfidando anche le classi dirigenti del Sud. Ma il primo investimento che dovrà fare il nuovo governo Conte, se ci sarà, è un investimento "politico" nel Sud, un nuovo patto con i suoi cittadini e le sue imprese, per avere un paese più coeso e quindi più forte.

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