A Palazzo Madama non era ancora ultimato il primo voto di fiducia al governo Conte 2 e già il Pd era riunito a discettare di legge elettorale. Non è uno scherzo, è solo lo stato dell’arte. Come se fosse la priorità del Paese. Era nell’aria che sarebbe finita così. D’altro canto, i patti erano chiari: noi diamo il via libera al taglio dei parlamentari e voi appoggiate la riforma del sistema di voto. In chiave, proporzionale, va da sé. Nel primo pomeriggio l’annuncio era stato fatto dal renzianissimo capogruppo del Senato, Andrea Marcucci: "Stasera inizieremo a elaborare la nostra proposta sulla legge elettorale". Non c’è ancora un testo, è vero. Fatto sta che il ritorno alla "proporzionale" che sa tanto di Prima Repubblica, di governi balneari, di convergenze parallele, e via dicendo, è il must di questo inizio di legislatura.

In principio di giornata qualcuno aveva fatto filtrare che la riunione avrebbe coinvolto tutta la maggioranza. Dunque, anche i cinquestelle. Ma il tentativo è stato stoppato dalle truppe di Luigi Di Maio, e rinviato ai prossimi giorni. Anche perché sussurra un pentastellato nel Salone Garibaldi del Senato, "così diamo l’ennesimo assist a Salvini che non a caso oggi nel suo intervento di cosa ha parlato? Di inciucio per tornare al proporzionale". Tuttavia il treno è già partito. Ed ecco che nella riunione dei democratici – presenti Dario Franceschini, Andrea Giorgis, e i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio – ufficialmente l’oggetto riguarda le riforme costituzionali che dovranno accompagnare il taglio dei parlamentari. L’obiettivo dei democratici è quello di trasformare questa nuova maggioranza in una coalizione costituente. Apportando una serie di modifica alla Carta Costituzionale in cinque punti: l’introduzione della sfiducia costruttiva, la riduzione del numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione del presidente della Repubblica, la partecipazione dei governatori all’Assemblea di Palazzo Madama quando vengono discusse norme riguardanti le regione, e infine la parificazione di elettorato attivo e passivo fra i due rami del Parlamento(18 anni per votare, 25 per essere eletti) e poi ancora il voto di fiducia in sede congiunta.

In questo contesto si è fatto il primo focus sulle riforme e in particolare sulla legge elettorale. L’ipotesi più solida in campo è quella del ritorno al proporzionale. "Ma quale proporzionale? Alla spagnola, alla tedesca, un proporzionale puro modello Prima Repubblica?", lamenta un senatore del PD. Tuttavia, ha spiegato Delrio uscendo dal vertice, che in ogni caso il Pd intende concordare con "gli alleati di M5s e Leu" il contenuto e il percorso. Ma prima di ogni cosa il Nazareno dovrà risolvere un problema al suo interno. Perché i padri nobili del Pd, leggi alla voce Prodi e Veltroni, sono assai contrari al proporzionale perché striderebbe con il dna del partito democratico che è nato sull’onda del maggioritario. E allora cosa succederà? Dal Nazareno assicurano che "non si potrà passare con un battito di ciglio dal maggioritario al proporzionale". Si dovranno consumare una serie di passaggi. Non a caso dalle parti del Pd si vocifera già che si potrebbero svolgere una serie di seminari sui sistemi elettorali.

ALBERTO FALCI