Esce, non esce, esce, non esce… A quanto ha annunciato, esce. Non c’è più da sfogliare la margherita in attesa di sapere se Matteo Renzi si decide davvero ad attraversare il Rubicone dell’uscita dall’attuale suo partito per fondarne uno tutto suo. Da utilizzare – a quanto pare – non per andare contro l’attuale coalizione di governo, ma semmai per esserne un supporto distinto e autonomo dagli altri. C’era davvero bisogno di questa nuova scissioncina e della creazione di un altro partito o partitino? Ma tant’è: da qualche tempo, per l’esattezza da quando è "sceso in campo" Silvio Berlusconi con la sua creatura Forza Italia, la vita politica italiana è fatta più di personalismi, parole e belle intenzioni, cioè slogan, che di programmi e realizzazioni per rimettere in carreggiata il BelPaese. E rilanciarne lo sviluppo tramite le non poche modernizzazioni e riforme di cui c’è bisogno sempre più incalzante per essere in grado di competere o almeno stare al passo coi tumultuosi cambiamenti del mondo.

Una volta nei partiti ci si accontentava di creare una corrente, ognuna con una sua anima e i propri leader. La Democrazia Cristiana (DC) ne aveva varie, famosa la corrente dei dorotei, ma anche quelle dei fanfaniani e degli andreottiani. Il Partito Socialista Italiano (PSI) aveva le sue, dai carristi ai pontieri fino ai lombardiani, demartiniani e craxiani. E anche se il suo statuto le vietava ne aveva anche il Partito Comunista Italiano (PCI), famosi gli ingraiani e i loro antagonisti amendoliani. Idem gli altri partiti, mai monolitici. Da qualche tempo invece, conseguenza della morte dei partiti della cosiddetta "prima repubblica" e della continua ricerca, con annessi contorcimenti e acrobazie, di nuove identità nella cosiddetta "seconda repubblica, si media meno e si tende andare più per le spicce.

In ogni caso, è fuori luogo l’eventuale immagine di un Renzi salvatore della patria, che la tira cioè fuori dal pantano attuale tramite la creazione dell’ennesimo partito più o meno di sinistra o presunta tale. Il responsabile del pantano attuale, e annessa confusione e pericoli, è infatti proprio lui: Matteo Renzi. È lui che, vantandosene prima, durante e dopo i risultati delle elezioni politiche del marzo dell’anno scorso ha rifiutato di formare una coalizione di governo con M5S: proprio quella coalizione che il PD di Zingaretti s’è invece dovuto adattare a fare ora per tentare di arginare l’onda populista, sovranista, leghista, rappresentata da un Matteo Salvini sempre più fuori controllo. Forse che l’M5S era un movimento fascista o qualunquista o comunque di una destra tale da essere impresentabile e da rendere quindi improponibile un’alleanza di governo PDM5S?

Vediamo come stanno le cose. Il Movimento 5 Stelle si chiama così perché, come specifica il suo statuto, è guidato da cinque stelle di riferimento, che per l’esattezza sono: Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività, Sviluppo, dove per Acqua si intende il farla restare pubblica evitandone qualunque tipo di privatizzazione. Sì, certo, un po’ populista M5S lo è, o meglio lo era, visto che così si definisce con il suo statuto: "Il MoVimento 5 Stelle è una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico nè si intende che lo diventi in futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee. Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi".

Con l’aggiunta, per andare sul concreto, dei nomi delle citate cinque stelle: "Il MoVimento 5 Stelle è un movimento di liberi cittadini per un’Italia a 5 Stelle: Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività , Sviluppo". Da notare che è sparita la stella chiamata Decrescita Felice, sostituita dalla stella Sviluppo: forse perché ci si è resi conto del ridicolo di avere come ministro dello Sviluppo Economico il leader politico del M5S, Luigi Di Maio, che in quanto tale più che allo sviluppo economico dell’Italia ha in testa la decrescita felice: la quale, stando al vocabolario della lingua italiana, è l’esatto contrario dello sviluppo economico.

Ideata da Serge Latouche e Thomas Piketty, predicata in Italia da Massimo Fini, la decrescita felice vorrebbe essere una versione moderna e dolce dell’anticapitalismo, basata più che altro sull’ecologia, sul vegetarianismo, sui mercati a "chilometro zero" et similia, insomma su nuovi stili di vita più sani e morigerati anziché sulle barricate. Fascismo? Qualunquismo? Reazionarismo? Destrismo? Eversione? Non si direbbe proprio, a meno di prevenzioni e allucinazioni. Forse ingenuità e illusioni, un po’ di 68ismo tipo "la fantasia al potere", ma nulla di orrendo. Nulla di violento. Certo, c’era – e c’è – la forzatura del voler trasformare le elezioni in consultazione online. E c’era – a proposito: che fine ha fatto? – l’ambiguità di quell’attribuire "alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi", quando invece l’articolo uno della nostra Costituzione afferma sì che "La sovranità appartiene al popolo", ma aggiunge e specifica che il popolo la sua sovranità "la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Si tratta forse di ambiguità non risolvibili? Destinate a sfociare in assalti alla Bastiglia e demolizione della Costituzione? Non si direbbe.

A questo punto bisogna essere chiari, anche se sgradevoli, e dirla tutta: il verboso Matteo Renzi e il suo PD con il gran rifiuto nei confronti del neonato M5S si sono comportati né più e ne meno come l’antiquato Luigi Longo e il suo arcaico PCI nei confronti del Movimento Studentesco e del femminismo a fine anni ’60: chiusura totale. Agli studenti che scendevano in piazza assetati di cambiamento veniva offerta come unica soluzione l’iscrizione alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) e alle femministe l’iscrizione all’Unione Donne Italiane (UDI), emanazione femminile del PCI, emanazione remissiva e obbediente. Altrimenti piovevano le accuse di "estremismo", "extraparlamentarismo" e via lapidando. Ed è stata quella chiusura, ottusa e cieca, quell’incapacità di intuire, capire il nuovo in arrivo e incanalarlo, che ha provocato la tragica deriva verso il terrorismo e gli anni di piombo: anni di tragedie e sangue anziché dei necessari cambiamenti in meglio.

Tanto il M5S fa fughe in avanti in tema di web e votazioni online, anche da affiancare al parlamento e alle votazioni cartacee ai seggi, o per sostituirle, quanto Renzi del web si direbbe che ne ha colto solo l’aspetto superficiale. Ne ha sfruttato l’estetica nel 2014 al quinto convegno nella ex stazione ferroviaria della Leopolda, il convegno la cui prima edizione nel 2010 lo aveva lanciato da sindaco di Firenze a "rottamatore" della classe dirigente del PD e di conseguenza ad aspirante leader nazionale del partito. Il palco del convegno del 2014 venne modellato in modo da riprodurre volutamente il garage di casa nel quale il giovanissimo Steve Jobs, in una località diventata poi Silicon Valley, a sud della baia di S. Francisco, iniziò a occuparsi di informatica e computer sino a creare la Apple e tutto ciò che ne è seguito. Garage simbolo – alla Leopolda del 2014 – dei luoghi in cui "le idee diventano startup". Con Renzi impegnato a smanettare di tanto in tanto con l’iPad per mostrare al mondo la sua modernità, ovvero l’enorme diversità dai vari ormai rottamati D’Alema-Veltroni-&C.

Peccato che alla Leopolda versione Silicon Valley il rampante Renzi, ormai primo ministro e segretario del PD, abbia ignorato un particolare: la Apple, i computer, compreso l’esibito iPad, l’intera Silicon Valley e la rivoluzione tecnologica che ha partorito Internet, il web, l’online e i telefonini, non sarebbero mai neppure esistiti se il fisico vicentino Federico Faggin, emigrato a Palo Alto in California dopo la laurea, non avesse sviluppato tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 la tecnologia MOS (Metal Oxide Semiconductor) con porta di silicio (silicon gate) autoallinenate. Il tassello fondamentale per la nascita del primo microchip: l’Intel 4004. Forse era il caso di ricordare almeno un po’ anche il garage o lo studio di Faggin.

Evidentemente però Renzi ignorava anche che quando Bill Gates una quindicina d’anni fa ha accolto la delegazione ministeriale italiana per l’Innovazione e la Tecnologia ci tenne a dichiarare agli ospiti che "prima di Faggin, la Silicon Valley era semplicemente una valle", nota per la frutta e le orchidee. Dopo Faggin, è diventata un concentrato di aziende dedicate a progettare, produrre e commercializzare semiconduttori, cioè microchip, in tutto il pianeta. Insomma, rottamatore sì, politico di successo sì, moderno sì, ma pur sempre provinciale e almeno un pizzico ignorante oltre che egomane. Motivi per cui l’alleanza di governo col M5S non s’è fatta l’anno scorso, quando galeotto avrebbe potuto essere il web, e ci si è ridotti a farla invece solo ora, in corner e in acque agitate. Ritardo che ha permesso l’exploit di Matteo Salvini e della sua Lega, con tutto ciò che hanno comportato. E che potranno ancora comportare.

Pino Nicotri