Perché andarsene dal Pd? Perché ora? Al netto degli arzigogoli dei commentatori politici che mai escono con lo sguardo e con la testa da Montecitorio corridoi e tweet consultazione, ci sono due ottimi motivi per la scissione, per andarsene dal Pd. Il primo, il più grande e il più fondato motivo è quello, ovviamente, di cui nessuno parla e si ricorda. Ottima ragione per andarsene dal Pd, ragione di sostanza, questione seria. Ma siccome non riguarda il giorno per giorno allora nessuno la calcola. La ragione è che il Pd non riesce da tempo e forse non riuscirà mai ad essere... il Pd.

PDS, Ds, quindi Pd: in qualunque denominazione il partito ha sempre solennemente e convintamente dichiarato e deciso di essere un partito riformista. Riformista, cioè non impegnato nel mantenimento delle cose come stanno. Riformista, cioè avente come ragion d’essere la modifica degli assetti, equilibri, condizioni acquisite, rendite sociali, funzionamento dei sistemi pubblici collettivi. Partito riformista è quello che ha una geografia elettorale, una platea e territorio elettorale fatti di ceti, categorie e umori riformisti appunto. Così non è per il Pd. Ogni volta che ha provato davvero ad essere riformista (sul mercato del lavoro, sul fisco, sulla produttività, sul merito…) il Pd si è trovato con la sua area elettorato che non gradiva.

La scuola, il pubblico impiego, il fisco: l’elettorato di riferimento del Pd è tutt’altro che riformista. E tutt’altro che riformista è gran parte del corpo del partito, soprattutto quello di derivazione sindacale. Tanto è vero questo che spesso l’area elettorale Pd è diventata area elettorale ex Pd sol perché il Pd aveva tentato, accennato riforme. Ottima ragione per andarsene dal Pd è, se si è riformisti, la incapacità, meglio dire impossibilità, del Pd stesso ad essere riformista. Non a caso e coerentemente, andato via Renzi, torneranno Bersani e D’Alema.

Altra ottima ragione (in realtà meno ottima, appena superficialmente ottima) è la possibilità di una legge elettorale proporzionale. Nella vergognosamente grottesca vita pubblica italiana ci si appresta a cambiare ancora la legge elettorale. Si è perso il conto dei cambi, saranno quattro almeno in 20 anni. Ogni volta si prova a fare una legge elettorale per fregare l’altro. Così fece la Lega per mano di Calderoli in accordo con Berlusconi, così provano a fare tutti. Nell’illusione che una legge elettorale faccia fesso l’avversario. Ora pare stia per tornare il proporzionale, come nella cosiddetta Prima Repubblica. Prima Repubblica che, viste e assaggiate la seconda e la terza, non era poi tanto male. Anzi.

Nella Prima Repubblica un partito del 5 per cento poteva essere utile e importante. Se era un partito serio e se si collocava dove la sinistra aveva il tabù di arrivare e la destra non sapeva arrivare. Un partito come quello che fu ad esempio il Pri, il partito repubblicano. Quindi una buona ragione per andarsene dal Pd può essere quella della legge elettorale proporzionale di conseguenza… Di conseguenza però poco o niente. La scissione di Renzi dal Pd ha almeno due ottime ragioni (più una terza, minore ma tosta anch’essa: l’impossibilità congenita per il Pd di avere un leader senza demolirlo dall’interno) ma un pessimo futuro.

Pessimo perché la legge elettorale proporzionale non c’è e chi lo sa se arriva. Pessimo perché il 5 per cento è basato su una lettura da boy scout della società italiana (il limite di Renzi). Pessimo futuro soprattutto perché una opinione pubblica o almeno una rispettabile somma di ceti e interessi riformisti in Italia non c’è. Non c’è e non da adesso. Non è riformista, tutt’altro, l’elettore di destra. Una destra riformista e non anti sistema in Italia non c’è, non c’è tra la gente. Non è riformista l’elettore di sinistra, tanto meno quello M5S. Tanto meno ancora riformista è il non elettore.

L’Italia è un sistema sociale di gruppi e individui pronti anzi a mobilitarsi perché nulla venga modificato del loro status e perché nessuno sforzo venga imposto dal cambio insito in ogni riforma delle cose. La scuola, l’intero sistema della formazione, la Pubblica Amministrazione, la geografia storta del Welfare e del Fisco, la responsabilità e l’utilizzo della spesa pubblica e tanto altro ancora: non ci sono maggioranze pronte davvero a sostenere cambio dei connotati dell’uno o dell’altro comparto. Il riformismo in Italia non solo è minoranza ma non è mai stato egemone, né socialmente né culturalmente. E non è per nulla popolare. Per questo la scissione Renzi, l’andarsene dal Pd con almeno due ottime ragioni ha davanti a sé un pessimo futuro.

LUCIO FERO