Violenza e impunità stanno mettendo a repentaglio l'impegno nella lotta globale al cambiamento climatico. La deforestazione dell'Amazzonia brasiliana ha come origine l'attività lucrativa, guidata soprattutto da reti criminali, che minaccia e attacca funzionari governativi, difensori delle foreste ma anche indigeni che cercano di tutelare questo immenso polmone verde. In tutto ciò, il governo non riesce a mettere in campo strategie di tutela e protezione efficaci. A scriverlo, nero su bianco, è la Human Rights Watch. "I brasiliani che difendono l'Amazzonia stanno affrontando minacce e attacchi da reti criminali impegnate nel disboscamento illegale", sottolinea Daniel Wilkinson, direttore dell'organizzazione internazionale. "La situazione non fa che peggiorare sotto l'egida del presidente Bolsonaro, il cui assalto alle associazioni ambientaliste del paese sta mettendo a rischio la foresta pluviale. Le reti criminali hanno la capacità logistica di coordinare su larga scala l'abbattimento, la lavorazione e la vendita di legname, e questo attraverso il dispiegamento di uomini armati che puntano a intimidire e, in alcuni casi, uccidere coloro che cercano di intralciare i loro piani". Dal momento che si tratta della più grande foresta tropicale esistente, l'Amazzonia svolge un ruolo fondamentale nel mitigare i cambiamenti climatici grazie all'assorbimento e all'immagazzinamento della CO2. Se bruciata o disboscata, la foresta non solo cessa di svolgere questa funzione, ma rilascia nell'atmosfera l'anidride carbonica precedentemente immagazzinata. "L'impatto degli attacchi ai difensori della foresta del Brasile si estende ben oltre l'Amazzonia", Wilkinson ha detto. "Fino a quando il paese non affronterà la violenza e l'illegalità che facilitano il disboscamento illegale, la distruzione della più grande foresta pluviale del mondo continuerà incontrollata".

LE PROMESSE E GLI IMPEGNI DEL BRASILE Oggi, 23 settembre 2019. le Nazioni Unite terranno un vertice per discutere gli sforzi globali per mitigare il cambiamento climatico. Come contributo a tali sforzi, il Brasile nel 2016 a Parigi si era detto pronto a bloccare la deforestazione illegale in Amazzonia entro il 2030. Dal 2004, lo stato ha un programma deputato alla protezione dei diritti umani e dei difensori dell'ambiente. Tuttavia i funzionari governativi intervistati dalla Human Rights Watch hanno convenuto che il programma fornisce una tutela poco significativa, quasi assente.

L'ULTIMO REPORT DELLA HUMAN RIGHTS WATCH "Mafie della foresta pluviale: Come la violenza e l'impunità Fuel Deforestation in Brasile Amazon" è l'ultimo rapporto dell'associazione. Un documento che in 170 pagine testimonia come il disboscamento illegale da parte di gruppi criminali, chiamati "Ipê mafias" (espressione che si riferisce all'albero Ipê il cui legno è tra i più pregiati e ricercati dai taglialegna), e i conseguenti incendi boschivi siano collegati tanto agli atti di violenza e di intimidazione contro i difensori delle foreste quanto all'incapacità dello Stato di condannare tali crimini. "Fino a quando si avrà questo livello di violenza, illegalità e impunità - sottolinea l'autore del report Cesar Muñoz Acebes - sarà impossibile per il Brasile arginare la deforestazione. Queste reti criminali attaccheranno chiunque li intralcerà".

L’INCHIESTA Human Rights Watch ha intervistato più di 170 persone, tra cui 60 membri delle comunità indigene e altri residenti locali negli stati di Maranhão, Pará e Rondônia. I ricercatori hanno ascoltato decine di funzionari governativi a Brasilia e in tutta la regione amazzonica. Tra questi, molti hanno fornito resoconti interni confessando che le politiche del presidente Bolsonaro stanno minando gli sforzi di applicazione nel campo della tutela ambientale. "Durante il suo primo anno in carica - si legge nel report - Bolsonaro ha ridotto l'applicazione delle leggi ambientali, indebolito le associazioni federali ambientaliste, e duramente criticato coloro che - organizzazioni e liberi cittadini - s'impegnano e si sono impegnati a preservare la foresta pluviale". Negli ultimi dieci anni, più di 300 persone sono state uccise nel contesto di conflitti per l'uso della terra e delle risorse amazzoniche. Di questi omicidi gran parte sono da attribuire all'azione di persone coinvolte nel disboscamento illegale. A dirlo è la Commissione Pastorale della Terra, un'organizzazione senza scopo di lucro impegnata nella promozione "della conquista dei diritti e della terra, della resistenza nella terra, della produzione sostenibile".

INADEGUATE INDAGINI SUGLI OMICIDI E LE MINACCE DI MORTE Human Rights Watch ha documentato 28 omicidi - più 4 tentati omicidi e oltre 40 casi di minacce di morte - che, con ogni probabilità, vedono i taglialegna locali come esecutori materiali dei crimini. La maggior parte degli omicidi si sono verificati negli ultimi cinque anni: tra le vittime compaiono agenti di controllo ambientale, membri di comunità indigene e liberi cittadini che avevano denunciato alle autorità episodi di disboscamento illegale. I responsabili di questi atti criminali raramente sono stati consegnati alla giustizia. Degli oltre 300 omicidi registrati dal CPT, 14 sono stati processati mentre dei 28 documentati dalla Human Rights Watch, solo due. Questa mancanza di responsabilità è dovuta in gran parte al fatto che la polizia non ha condotto indagini adeguate. La polizia locale, dal canto suo, pur riconoscendo il fallimento, ha sostenuto che gli omicidi hanno avuto luogo in aree remote non sottoponibili ad alcuna attività investigativa. Eppure la Human Rights Watch ha documentato omissioni eclatanti anche nelle indagini sugli omicidi avvenuti nelle città, non lontano dalle stazioni di polizia. Tra le omissioni denunciate, l'organizzazione internazionale ha segnalato anche la mancata esecuzione di diverse autopsie.

IL RUOLO DEGLI INDIGENI E DEI RESIDENTI LOCALI Le comunità indigene e gli altri residenti locali hanno svolto un ruolo importante nel tentativo di contenere la deforestazione, allertando le autorità sulle attività di disboscamento illegale che altrimenti non sarebbero mai state segnalate. Tuttavia,l'attuale ridimensionamento dell'applicazione ambientale incoraggia il disboscamento illegale e contemporaneamente obbliga la popolazione locale ad assumere un ruolo da protagonista nella difesa delle foreste. Così facendo, però, viene esposta ad un rischio troppo alto. "C'è una totale mancanza di persone, risorse, logistica. Una mancanza di volontà", ha detto Antonio de Oliveira, agente di polizia federale, ora in pensione, precedentemente in servizio presso l'agenzia indigena Funai. Per lungo tempo ha lavorato con i Guardiani, una brigata di indigeni Guajajara che ha espulso i taglialegna dalla riserva di Araribóia nello stato di Maranhão, a est dell'Amazzonia. Secondo Oliveira, le attività illegali dei taglialegna sono diventate più sfrontate da quando Bolsonaro ha lanciato forti attacchi alle associazioni ambientaliste del paese. "La situazione è peggiorata", sottolinea. "C'è una sorta di incoraggiamento dei taglialegna all'azione, all'invasione".

ALCUNI DEI CASI DOCUMENTATI NELLA RELAZIONE Gilson Temponi, presidente di un'associazione di agricoltori a Placas (nello stato del Pará che ospita il Parco Nazionale dell'Amazzonia), nel 2018 ha denunciato al pubblico ministero il disboscamento illegale e le minacce di morte da parte dei taglialegna. Nel dicembre di quell'anno, due uomini hanno bussato alla sua porta e gli hanno sparato. Eusebio Ka’apor, leader del popolo Ka’apor che ha aiutato a organizzare pattuglie forestali per impedire ai taglialegna di accedere nell' Alto Turiaçu (territorio indigeno nello stato di Maranhão), è stato ucciso nel 2015. Poco dopo la sua morte, sei dei sette membri del Consiglio di Governo del Ka'apor, che coordina le pattuglie, hanno ricevuto minacce di morte da parte dei taglialegna locali. Osvalinda Pereira e suo marito, Daniel Pereira, entrambi piccoli agricoltori, hanno ricevuto minacce di morte per quasi un decennio da quando hanno iniziato a denunciare il disboscamento illegale portato avanti nello stato di Pará da una rete criminale. Nel 2018 hanno trovato due tombe, sotterrate nel loro giardino, segnalate da due croci di legno. Dilma Ferreira Silva, attivista ambientalista dello stato di Pará, e altre cinque persone sono state uccise nel 2019 sotto indicazione - secondo la polizia - di un proprietario terriero coinvolto nel disboscamento illegale. Temeva che Silva e gli altri avrebbero segnalato le sue attività criminali.

LA DEFORESTAZIONE SOTTO IL GOVERNO BOLSONARO Durante i primi otto mesi di mandato di Bolsonaro, la deforestazione è quasi raddoppiata rispetto allo stesso periodo del 2018. Nell'agosto 2019, gli incendi forestali legati alla deforestazione hanno raggiunto una portata che non si registrava dal 2010. Si tratta di incendi che non si verificano naturalmente nell'ecosistema umido del bacino amazzonico. Piuttosto, sono attivati da individui intenzionati a completare il processo di disboscamento nei siti in cui gli alberi sono già stati rimossi. Il presidente Bolsonaro ha promesso "tolleranza zero" nei confronti della criminalità ambientale. Tuttavia sia lui che i suoi ministri hanno anche definito la preoccupazione internazionale per l'Amazzonia "un attacco alla sovranità brasiliana". A loro dire, per risolvere il problema servirebbe un maggiore investimento nello sviluppo della regione.

QUALE FUTURO La posta in gioco, e gli effetti della resa dei conti tra i difensori della foresta e queste reti criminali, si estende ben oltre l'Amazzonia. Anche al di là dei confini brasiliani. Venerdì scorso il ministro degli Esteri, Ernesto Araújo, e il segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, hanno accettato di promuovere lo sviluppo del settore privato in Amazzonia e hanno annunciato l'attivazione di un fondo, per la conservazione della biodiversità, di 100 milioni di dollari. Lo stesso giorno, il ministro delle Finanze Paulo Guedes ha definito, davanti la stampa estera, non così attenta e puntuale "la scienza che si occupa di cambiamento climatico". Poi, però, ha corretto il tiro sottolineando: "Ci impegneremo nello svilluppo sostenibile dell'Amazzonia".