Non è una questione di fede religiosa o pensiero filosofico. Quando chiediamo di porre fine alla propria vita perché i tormenti, i dolori fisici, psicologici e morali esondano gli argini della nostra umana sopportazione la morte, alla pari di un'inutile sopravvivenza, diventa un dramma intimo insostenibile, che ribalta le nostre richieste di soccorso, le nostre priorità. Non individuiamo più alcun conforto nelle terapie mediche e nell'accanimento terapeutico, abbandoniamo l'attesa del miracolo, per salvare l'ultimo barlume di dignità, la memoria terrena e la testimonianza di noi stessi, diventando anima immortale o polvere al vento, qualunque sia la nostra convinzione.

Non bisogna esacerbare una sterile e penosa guerra di ideologie o religione, perché la decisione della Corte Costituzionale, finalmente giunta, ed all'unanimità, ha tracciato con coraggio il solco per evitare "inciampi" sulle solite "ambiguità interpretative" di leggi accomodanti o evasive, "all'italiana". Al di là della necessità storica di cancellare l'iniquità anacronistica del codice Rocco (1930) che equiparava istigazione al suicidio ed assistenza al suicida - un "cadeau" fascista alla Chiesa, giusto dopo un anno dalla firma dei Patti Lateranensi - la Consulta ha "preteso", chiara ed inequivocabile, l'autonomia e la libertà del paziente sulla sua volontà di "farla finita".

Il "vespaio mediatico" è appena cominciato. Ci domandiamo se siamo maturi per aprire un confronto culturale, responsabile, dirimente, ma allo stesso tempo, rispettoso della volontà della "persona" che decida di togliersi la vita, non per gioco o per noia. Questo è il "vulnus" che non tranquillizza la posizione dei cattolici e agita il sonno degli agnostici, peraltro avversari intellettuali e "ideologici" della condanna a morte.

In particolare, i cattolici credenti, oggetto di un "contenzioso dogmatico" falsato ad arte dall'ala più intransigente e reazionaria dei porporati cattolici, perdono di vista la posizione chiara di Papa Francesco sul "no" all'eutanasia, ma anche all'accanimento terapeutico, e non leggono nelle sue parole, apparentemente antitetiche, il senso della misericordia, della comprensione e, perchè no, una guardinga "apertura" nei confronti di casi limite: un punto fermo sulla confusione dialettica fra "influencers" come Sgarbi o Feltri, tra "movimenti" per la vita o l' eutanasia.

Non sono d'accordo, da cattolico, sulla chiamata generale alla obiezione di coscienza del cardinale Becciu. Per coloro che hanno vissuto, negli anni della professione ginecologica, tale dramma interiore, a fronte della drammaticità di alcune situazioni "borderline", le affermazioni del presule sono superficiali, intempestive, perché preconizzano una legge permissiva ed incongrua che ancora non c'è, e peggio, non offrono alcuna risposta pratica, alcuna comprensione o misericordia a coloro che hanno già offerto la propria dolorosa testimonianza di fede, fino al limite umano della sopportazione. Si dimentica troppo in fretta, con la distrazione tipica di chi è abituato a sentenziare, che la maggioranza dei richiedenti del suicidio assistito è composta di credenti "confusi e spossati" da un interminabile conflitto interiore.

Al di là della concezione intellettuale, nichilista o romantica, del suicidio, solo i vecchi, i malati terminali o allo stato vegetativo, hanno un dialogo costante con la morte, "tabù" terminologico sdoganato da qualche anno nell'idioma popolare. Il resto preferisce abbozzare, cambiare discorso ed evitare l'argomento. Dopo la pronuncia della Consulta, non siamo diventati "tutti più liberi", come enfatizza Cappato, ma speriamo di divenire tutti "più leggèri", delegando ad altri, sia esso lo Stato o "il pubblico ufficiale" auspicato dai medici, la decisione di "staccare la spina" per non dover mai confrontarci con una scelta così lacerante.

Né, si intravede il pericolo di una "cultura della morte", che già esiste ed imperversa, subdola ed incontrollata, in questa società del superfluo. Al contrario, si può aprire una stagione di confronto, di idee, di dialogo e non di partigianeria politica, perché siamo piccoli uomini che innanzitutto amano la vita e abitano lo stesso pianeta malato, a cui non possiamo concedere una "morte assistita", senza decretare la nostra stessa fine!

ANONIMO NAPOLETANO