Filippo de Pisis (1896- 1956) vive un grande momento di riscoperta. Al Museo del Novecento di Milano apre una sua mostra antologica con 90 pezzi indimenticabili che formano l’ossatura di questo grande maestro che ha segnato il Novecento italiano. De Pisis resta uno degli autori più forti e fragili allo stesso tempo del secolo breve, un poeta della natura, un maestro del colore che ha anticipato, durante il ventennio solido del ritorno all'ordine, i traguardi di un'arte informale destinata a diventare importante solo nel secondo dopoguerra. Sulla facciata del palazzo dell’Arengario si potrà ammirare anche un’installazione visiva con un movimento di farfalle, ispirata all’invito che il pittore Alberto Savinio rivolge all’amico Filippo de Pisis: "Invece di cacciar farfalle, caccia il tuo talento". Curata da Giovanni Castagnoli con Danka Giacon, promossa da Electa e dall'Associazione Filippo de Pisis, l’esposizione offre pezzi dagli esordi del 1916 fino al crollo psicologico degli anni Cinquanta, il ricovero e la scomparsa prematura dell’artista. Ma i suoi meravigliosi squilibri, fatti di composizioni tremule, soggetti imprevisti, occhiali da lettura accanto a conigli morti, giochi di citazioni che si rincorrono da una tela all'altra e pennellate sofferte che si sgretolano sulla superficie, generano un'armonia assoluta degli elementi ritratti nelle tele. Una sorta di ordine che nasce dal caos. Il percorso fra le pieghe della sua ricerca segue una biografia segnata anche dai suoi spostamenti. Attratto dalla più significative correnti europee, senza mai appartenere pienamente a nessuna, De Pisis finì per affinare il proprio stile personale come testimonia l’evento milanese: dai primi dipinti ferraresi che risentono dell’influenza, comunque, di de Chirico e Savinio, agli splendidi squarci di Parigi, dove conobbe Braque e Picasso, ma anche Joyce e Svevo, siamo dentro i suoi "paesaggi interiori" come la "Rue de Dragon", o la "Rue de Clichy", eseguiti rapidamente, dal vivo, sotto gli occhi di un pubblico curioso. Dalla singolare "Testa di Negro" – gli emarginati certo non amati dal fascismo, di ieri e di oggi - al "Marinaio francese" ai ritratti d’intensità magnetica, "Il Vecchio" o "Il Buongustaio", questi nati nei soggiorni fra il Cadore e Cortina d’Ampezzo, De Pisis indulge a un espressionismo di risulta con la delicatezza quasi sensuale che infondeva nelle sue "nature morte" . Ebbe infine anni difficili, prima della scomparsa. Alla Biennale di Venezia gli negarono il Gran Premio della Giuria: colpa della sua omosessualità, si sussurrò all’epoca. Poi venne la malattia nervosa e quindi i ricoveri che lui riuscì a tradurre visivamente nel "Cielo a Villa Fiorita", un vero capolavoro estremo con gli occhi di chi sta dall’altra parte del cielo. Senza mai pace, viaggiatore instancabile, De Pisis si dedicò allo studio della pittura sotto la guida del maestro Odoardo Domenichini nella sua città natale Ferrara. Nel 1916 si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna. L'interesse e la passione per la pittura lo spinsero a vivere in varie città italiane come Roma, Venezia e Milano, ma anche europee come Parigi e Londra alla ricerca di nuovi contesti culturali e artistici, tutti luoghi per lui "fatali", fucine di continue suggestioni pittoriche. Nel corso della sua carriera de Pisis ricorse a un’incredibile varietà di soggetti, sempre filtrati dalla sua personale narrazione e senza mai uniformarsi a uno stile che non fosse il proprio: vivaci vedute cittadine, paesaggi ariosi delle montagne a lui care, intensi ritratti capaci di cogliere la personalità della figura descritta e inusuali combinazioni di nature morte